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A PROPOSITO DELL'OLIO DI OLIVA

OLIO DI OLIVA

Fonte: “Olio di oliva e la salute” Consiglio oleicolo internazionale. 1987

Estratto dalle drupe dell'Olea Europea, la sua origine è antichissima. Comparso per la prima volta probabilmente nell'Asia occidentale, ben presto si diffuse in tutta l'area mediterranea dove il suo culto fu consacrato da tutte le religioni. La sua storia, mista tra verità e leggenda, vanta origini diverse: conosciuto dagli Assiri e dai Babilonesi, per gli Egizi fu introdotto come dono dalla dea Iside, per i greci fu Minerva a far spuntare dalla terra la prima pianta di olivo, per gli Ebrei era già conosciuto dai tempi di Adamo, ma, qualunque sia stata la sua origine, l'olivo ha sempre simboleggiato pace, fecondità, forza e purificazione.

Agli Ateniesi vincitori venivano offerti una corona di olivo ed una ampolla di olio. I Romani intrecciavano i ramoscelli di olivo per farne serti, come quelli d'alloro, per premiare i cittadini più meritevoli. I Cristiani lo consideravano un segno di augurio e di pace. Gli antichi ambasciatori, quando recavano notizie di pace, offrivano ramoscelli di olivo.Ben presto, però, accanto alla sacralità, all'olio di oliva, che Omero chiamò ''oro liquido'', fu riconosciuto un valore terapeutico e delle sue virtù trattarono i maggiori medici dell'antichità, quali Ippocrate, Galeno e Dioscoride. Nei secoli successivi queste virtù furono sempre meglio conosciute ed apprezzate, e, negli ultimi decenni, la Scienza Medica ha potuto confermare come e quanto, all'empirismo millenario delle civiltà mediterranee, abbia corrisposto il positivismo della verità scientifica.

COMPOSIZIONE CHIMICA

L'olio di oliva, al pari di tutti gli oli vegetali, è composto da una frazione saponificabile (trigliceridi) e da una frazione insaponificabile (componenti minori).

La frazione saponificabile costituisce il 99% dell'olio. Gli acidi grassi che compongono i trigliceridi dell'olio di oliva presentano una certa variabilità a seconda delle regioni di provenienza. I limiti della composizione acidica fissati dal Consiglio Oleicolo Internazionale sono i seguenti: Come si vede, esiste una netta prevalenza dell'acido oleico, monoinsaturo, una scarsa percentuale di acidi grassi saturi (palmitico e stearico) ed una discreta percentuale di acidi grassi polinsaturi (linoleico e linolenico). E' stato ripetutamente accennato al significato biologico degli acidi grassi polinsaturi che, non potendo essere sintetizzati, debbono venir forniti ogni giorno con la dieta. L'olio di oliva constituisce perciò una buona fonte alimentare di questi acidi grassi essenziali.La presenza dei legami insaturi negli acidi grassi, se conferisce agli oli particolari qualità biologiche, li rende però anche attaccabili dall'ossigeno determinando il fenomeno dell'autoossidazione. Questo fenomeno procede con una velocità proporzionale al numero dei doppi legami esistenti ed è contrastato dalla natura e dalla concentrazione delle sostanze anti-ossidanti. L'olio di oliva presenta, a questo proposito, una composizione acidica con una insaturazione non troppo elevata e contiene numerose sostanze anti-ossidanti che gli consentono di mantenere una particolare stabilità. Le sostanze anti-ossidanti, unitamente ad altri componenti minori, fanno parte della frazione insaponificabile dell'olio di oliva. Innanzi tutto ricordiamo i tocoferoli, rappresentati per il 90% dalla forma alfa, biologicamente la più attiva. Il loro contenuto è di circa 150-170 mg/Kg, ed, oltre a constituire un importante elemento stabilizzante sui processi di auto-ossidazione, rappresentano una preziosa sorgente vitaminica alimentare. Un'altra importante azione anti-ossidante viene svolta dai composti fenolici (fenoli, acidi fenolici e polifenoli). Sotto questo aspetto l'olio di oliva, e soprattutto quello vergine, presenta una situazione particolarmente interessante in quanto, oltre all'a-tocoferolo, possiede una serie di acidi fenolici e di fenoli presenti in quantità rilevante. L'insieme di queste sostanze determina un fenomeno di esaltazione della stabilizzazione contro l'ossidazione cui si aggiunge l'attività complessante sui metalli di alcuni degli acidi fenolici presenti (26) e ciò spiega perché l'olio di oliva sia una delle sostanze grasse che meglio resiste ai fenomeni ossidativi, sia a temperatura ambiente, che nei trattamenti a caldo. Nell'olio di oliva sono contenuti poi altri componenti minori di cui alcuni dotati di interesse biologico. Steroli: Il patrimonio in fitosteroli dell'olio di oliva è peculiare, infatti è l'unico olio che possiede una concentrazione particolarmente elevata di B-sitosterolo, sostanza che si oppone all'assorbimento intestinale del colesterolo. Altri fitosteroli presenti sono il campesterolo e lo stigmasterolo. Idrocarburi: In parte saturi ed in parte insaturi, probabilmente si formano come prodotti collaterali durante la sintesi degli acidi grassi. Tra gli idrocarburi, troviamo lo squalene in quantità notevoli (mg 1,5Kg) ed il B-carotene, dotato di azione vitaminica A ed anti-ossidante, in concentrazioni variabili (mg 0,3 - 3,7/Kg).

Alcoli terpenici: Sono presenti nell'olio di oliva sia liberi che esterificati con gli acidi grassi. Di particolare interesse tra questi è il cicloartenolo la cui azione favorisce l'escrezione fecale del colesterolo per un aumento dell'escrezione degli acidi biliari (27). Fosfolipidi: Presenti in quantità non molto elevate, sono rappresentati dalla fosfatidilcolina e dalla fosfatidilietanolamina.

Le sostanze coloranti sono rappresentate dai carotenoidi, ma soprattutto dalla clorofilla. Questo pigmento, la cui quantità può variare in rapporto a vari fattori, svolge biologicamente un'azione di eccitamento sul metabolismo, di stimolo sulla crescita cellulare e sulla produzione del sangue e di accelerazione dei processi di cicatrizzazione. Infine ricordiamo le sostanze aromatiche, rappresentate da numerosi composti in parte non ancora identificati, ma che nel loro insieme contribuiscono a creare quei particolari caratteri organolettici che conferiscono all'olio di oliva un posto prioritario. Tali caratteri organolettici non vanno sottovalutati in quanto influenzano positivamente la digestione. E' stato infatti dimostrato che quando si trae piacere dall'odore e dal sapore di un alimento la stessa composizione del succo gastrico si modifica per una maggiore concentrazione della pepsina, ottenendosi quindi una migliore attività digestiva.

OLIO DI OLIVA E APPARATO DIGERENTE

OLIO DI OLIVA E STOMACO

Le recenti ricerche condotte da Charbonnier (21) sulla tolleranza gastrica dell'olio di oliva hanno posto in evidenza una sorta di gerarchia nutrizionale tra i diversi grassi alimentari in rapporto alla loro composizione in acidi grassi. L'olio di oliva, il cui componente principale è l'acido oleico (monoinsaturo), è apparso il meglio tollerato dallo stomaco. Infatti, il tono della valvola che separa l'esofago dallo stomaco impedendo il reflusso del materiale acido nell'esofago (sfintere inferiore esofageo, SIO) e che normalmente viene depresso da tutti i grassi alimentari, è diminuito in misura nettamente inferiore e per un tempo molto più breve con l'olio di oliva rispetto agli altri grassi, mentre il tempo di semievacuazione dello stomaco, studiato mediante Ecografia in Tempo Reale, non è apparso significativamente ridotto dopo somministrazione di 10 grammi di olio di oliva mescolato con 490 grammi di succo d'arancia. Al contrario, in questa ricerca il burro, ricco in acidi grassi saturi, si è comportato come il grasso meno tollerato, con diminuzione forte e prolungata del tono del SIO ed un prolungamento molto significativo del tempo di evacuazione dello stomaco. L'olio di girasole, ricco in acidi grassi polinsaturi, ha prodotto effetti intermedi, più prossimi tuttavia a quelli del burro che a quelli dell'olio di oliva. Altri ricercatori, in epoca meno recente, hanno indicato l'esistenza di effetti benefici sulle gastriti ipercloridriche e sull'ulcera gastro-duodenale. Nel 1889, Ewald e Boas (28), aggiungendo al pasto di prova a base di farinata dell'olio di oliva, ottennero una riduzione della secrezione acida dello stomaco rispetto al pasto di prova con sola farinata. Questo effetto è stato attribuito da alcuni autori (Farrel e Ivy, 1926 (29)) alla liberazione di un ormone intestinale, l'enterogastrone, stimolata dal contatto dei grassi in generale con l'intestino e quindi non precipua dell'olio di oliva. Il ruolo dell'enterogastrone tuttavia è stato messo in dubbio da Rose (32) il quale ha rilevato una riduzione dell'efficacia dell'olio di oliva dopo resezione del nervo vago. Esisterebbe pertanto un effetto protettivo diretto proprio dell'olio di oliva. A tale proposito Benvestito (31) ha rilevato nell'uomo un aumento della secrezione alcalina delle cellule dell'antro pilorico e del fondo gastrico dopo somministrazione di olio di oliva, e Crespi (30) ha osservato nel ratto la capacità dell'olio di oliva di inibire l'ulcera sperimentale di Shay, mentre Taits (33), trattando 102 pazienti affetti da ulcera, ha potuto notare come la sostituzione dei grassi animali con olio di oliva abbia portato alla riduzione della lesione nel 33% dei casi ed alla cicatrizzazione nel 55%, con un contemporaneo miglioramento della ipersecrezione acida e della ipermotilità antrale. La prescrizione dell'olio di oliva, in caso di gastrite ipercloridrica e di ulcera gastro-duodenale, non dispensa comunque dalla terapia farmacologica (cimetidina, ranitidina, ecc.), d'altra parte, va rilevato che Charbonnier (21), in uno studio recente condotto sull'uomo normale, sottoposto a dieta

monolipidica per parecchi giorni, non ha osservato nessuna riduzione né della secrezione acida basale, né della secrezione acida stimolata dalla pentagastrina.

OLIO DI OLIVA E INTESTINO

L'olio di oliva preso a uno o due cucchiai al mattino a digiuno sembra avere un effetto soddisfacente nel trattamento della stitichezza cronica semplice. Il suo meccanismo di azione è probabilmente da ricondursi alla liberazione della colecistochinina che avrebbe la doppia attitudine di far contrarre la cistifellea e di attivare la peristalsi dell'intestino tenue (34).

OLIO DI OLIVA E VIE BILIARI

Per la sua azione di stimolo sulla liberazione della colecistochinina, l'olio di oliva agisce favorevolmente sull'atonia della cistifellea e sulle discinesie delle vie biliari in quanto la colecistochinina, oltre a provocare la contrazione della vescichetta biliare, determina l'apertura dello sfintere di Oddi per un periodo più lungo (8-10 min) della contrazione della cistifellea (2-3 min). L'azione dell'olio di oliva in questo caso è efficace, ma nello stesso tempo blanda, senza provocare violente contrazioni. Per questo effetto benefico, ben conosciuto dagli antichi medici, già nel 1888 Chauffard e Dupré (35) affermavano che «l'olio di oliva è un medicamento empirico di cui la fisiologia ha dimostrato l'azione colagoga incontestabile», consigliandolo a dosi massive (200-300 grammi al giorno) assunte al mattino a digiuno. Altri studiosi come Singer (36) e Pavel (37) hanno discusso ulteriormente sull'opportunità di somministrarlo caldo o freddo, in quantità più o meno elevate, puro o mescolato con succo di limone, ma sempre concordi sulla sua utilità nella cura delle colecistopatie. Da ultimo, Demole (24), in una rassegna sul trattamento delle discinesie biliari, ha affermato che le forme ipotoniche traggono giovamento dietetico dall'uso dei grassi alimentari i quali svolgono una efficace azione colecistocinetica. Tra questi l'olio di oliva è il solo colagogo completo (coleretico e colecistocinetico) e, per questo motivo, può essere utilizzato come «alimento-medicamento», L'Autore afferma poi che anche dopo colecistectomia è essenziale una dieta sufficientemente ricca di grassi che assicuri il drenaggio biliare ed il rilasciamento dello sfintere di Oddi. Anche in questo caso, secondo l'Autore, l'olio di oliva svolge un'azione colagoga particolarmente efficace, azione che si manifesta già a piccole dosi. Charbonnier (21), in uno studio eseguito mediante sonda duodenale, ha confermato sperimentalmente l'efficacia colecistocinetica dell'olio di oliva che si distingue, tra i farmaci e gli alimenti che inducono tale effetto, per una azione più intensa, più dolce e più prolungata. L'Autore ha inoltre osservato, studiando il tempo di comparsa della bromosulfonftaleina nella bile, che la sua somministrazione inibisce la secrezione biliare epatica durante il tempo di svuotamento della  cistifellea, per cui ritiene che l'olio di oliva non sia un coleretico, ma un colagogo puro. Parallelamente tuttavia, l'olio di oliva provoca una rapida depurazione plasmatica della bromosulfonftaleina, dimostrando così di aumentare il potere di detossicazione del fegato. In conclusione, nella dispepsie su base colecistopatica, l'uso dell'olio di oliva può contribuire, oltre al miglioramento del tono e dell'attività della cistifellea, anche al miglioramento della fase digestiva post-prandiale per una più efficace azione della bile sull'emulsionamento dei grassi. Un'altra importante malattia, la calcolosi biliare colesterolica, è certamente collegata con il metabolismo lipidico. Questa malattia è oggi in netto aumento nelle popolazioni ad alto sviluppo economico e la sua incidenza appare statisticamente correlata con il grado di sviluppo stesso (37, 38). Tra i fattori favorenti, oltre alle gravidanze ripetute, al diabete, all'obesità, ai contraccettivi, alla riduzione del flusso biliare, alle infezioni della cistifellea, grande importanza viene attribuita ai fattori alimentari, quali l'eccesso alimentare globale (39), l'eccesso di grassi saturi e, naturalmente, di colesterolo (40, 41), tutti fattori che portano ad un'aumentata secrezione biliare di colesterolo e ad una riduzione degli acidi biliari e della lecitina. Se la calcolosi biliare colesterolica è senza dubbio legata ad un'alterazione del metabolismo lipidico, ancora oggi non è del tutto chiaro il meccanismo patogenetico. Si era un tempo ritenuto che le situazioni di iperlipidemia rappresentassero un sicuro fattore di rischio, indagini più recenti hanno però dimostrato che, mentre l'aumento della trigliceridemia si associa con una più frequente incidenza della colelitiasi, l'aumento della colesterolemia presenta invece una correlazione inversa (42, 43). E' stato ipotizzato che il rapporto tra ipercolesterolemia e ridotto rischio di colelitiasi possa essere conseguente al contemporaneo aumento delle lipoproteine a bassa densità (LDL) che inibirebbero la sintesi epatica del colesterolo (44). E' peraltro certo che anche le lipoproteine ad alta densità (HDL) sono inversamente correlate alla malattia. A spiegazione di questo fatto è stata supposta da parte delle HDL un'analoga azione di inibizione della colesterologenesi, ma forse, più verosimilmente, il colesterolo trasportato dalle HDL verrebbe più facilmente metabolizzato ad acidi biliari piuttosto che essere escreto con la bile come tale (42). Si è molto discusso in questi ultimi anni sui rapporti tra i grassi alimentari e la patogenesi della colelitiasi. Come si è detto, un'alimentazione sovrabbondante, ricca di grassi saturi e di colesterolo, favorisce la comparsa della malattia, ma è stato recentemente osservato che anche le diete ipocaloriche, le diete ipolipidiche protratte, e soprattutto talune terapie miranti a ridurre il colesterolo plasmatico, possono condurre ad un aumento della litogenicità della bile (45, 46). Nello stesso tempo, è stato posto in rilievo che anche gli acidi grassi polinsaturi, ripetutamente raccomandati nella dieta delle ipercolesterolemie, possono portare a risultati analoghi (47, 48, 49). La spiegazione di questi fenomeni può essere data dalla supposizione che la caduta del colesterolo plasmatico debba avvenire per un incremento della sua eliminazione attraverso le vie biliari ed infatti, a seguito di terapie e/o di diete ipocolesterolemizzanti, si osserva un aumento degli steroli fecali (50, 51). Nel complesso, la maggioranza degli studiosi concorda sul possibile ruolo litogeno sia degli acidi grassi saturi che polinsaturi in eccesso, mentre tale ruolo, secondo le indagini sperimentali di Dam (51) e Bucko (52) condotte con olio di oliva, non verrebbe giocato dagli acidi grassi monoinsaturi anche se tali indagini non sono state confermate da Borgman (53) e da Schuller (54). In conclusione, la prevenzione della calcolosi biliare colesterolica deve tenere presente la necessità di una correzione globale della dieta che non deve essere troppo abbondante e troppo ricca in grassi e colesterolo, ma neppure troppo squilibrata nei rapporti tra carboidrati e lipidi, e, tra i lipidi, troppo ricca in acidi grassi saturi o polinsaturi. In questo contesto può essere ipotizzato un ruolo protettivo dell'olio di oliva, sia per l'attivazione del flusso biliare, sia per l'aumento delle HDL, sia per l'equilibrato rapporto in acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi, e, che ciò possa essere vero, sarebbe confermato da Messini e Cairella i quali hanno rilevato come, nelle regioni italiane dove è maggiore il consumo di olio di oliva, si registra una minore incidenza di calcolosi biliare (55).

OLIO DI OLIVA E INFANZIA

Il bambino allattato al seno riceve circa il 50% delle calorie dai lipidi, di questi circa il 10% è rappresentato dagli acidi grassi polinsaturi. Il bambino svezzato richiede ancora una quantità relativamente elevata di lipidi, anche se non tutti i pediatri sono d'accordo nel definire l'esatta quantità che alcuni ritengono non dissimile dall'adulto. Anche sulla scelta dei grassi alimentari non esiste un preciso accordo e, mentre alcuni pediatri ritengono utile che almeno due terzi siano di origine vegetale, la Società Europea di Gastroenterologia e Nutrizione - ESPGAN - (56) afferma che non esistono dimostrazioni scientifiche che consigliano la somministrazione di acidi grassi animali o vegetali. Infine, anche per gli acidi grassi essenziali esistono disparità di vedute: il Comitato per la Nutrizione dell'Accademia Americana di Pediatria ritiene necessaria la presenza di almeno 300 mg per 100 Calorie, il Comitato della Comunità Europea per la Nutrizione considera ottimale la quantità compresa tra 300 e 1200 mg per 100 Calorie, mentre l'ESPGAN parla del 3-6% delle calorie totali. E' difficile che si realizzino situazioni carenziali di acidi grassi essenziali nel bambino, tuttavia uno scarso apporto di acido linoleico può determinare ritardi della crescita, alterazioni cutanee, epatiche e del metabolismo. Deve a questo proposito essere rilevato che, se il lattante al seno riceve circa il 4-5% delle calorie sotto forma di acidi grassi polinsaturi, il lattante alimentato in modo innaturale con latte di mucca ne riceve una quantità nettamente inferiore, in quanto il latte vaccino contiene circa il 2% di acido linoleico. Ne consegue quindi una situazione subcarenziale che si è tentato di correggere «umanizzando» il latte vaccino con l'aggiunta di oli vegetali. Gli oli di semi sono generalmente ricchi in polinsaturi e pertanto appaiono indicatissimi sul piano teorico per la nutrizione del bambino. Attualmente però ci si orienta nel non somministrare quantità troppo elevate di polinsaturi, in quanto, se la riduzione del colesterolo plasmatico nell'adulto può presentare un certo interesse, lo stesso non può dirsi per il bambino ed inoltre sono più facili gli eventi perossidativi, in modo particolare nei soggetti immaturi che non posseggono riserve sufficienti di vitamina E. In questi soggetti è stata infatti descritta una forma di anemia emolitica, che compare dopo alimentazione con oli ad elevato contenuto in polinsaturi, determinata dalla rottura delle membrane dei globuli rossi e dei capillari conseguente alla perossidazione dei polinsaturi che entrano nella composizione dei fosfolipidi delle membrane cellulari. Importante appare infine il mantenere un rapporto equilibrato tra gli acidi linoleico (18:2 n-6) ed alinolenico (18:3 n-3) in quanto un eccesso del primo od una carenza del secondo possono determinare delle turbe del sistema nervoso (57) poiché, per competizione sugli enzimi (desaturasi), necessari per l'allungamento e la desaturazione della catena, può essere inibita la elongazione dell'acido a-linolenico con riduzione della sintesi degli acidi eicosapentaenoico (20:5 n-3) e decosaesaenoico (22:6 n-3), importanti costituenti del tessuto cerebrale. Paragonando infatti gli effetti dell'olio di oliva, dell'olio di girasole e di grassi saturi somministrati a ratti in via di sviluppo, Galli (58) ha potuto rilevare la comparsa di significative alterazioni dei lipidi strutturali del cervello e del fegato sia nel gruppo trattato con grassi saturi che nel gruppo trattato con olio di girasole, ma non in quello trattato con olio di oliva.  Le modificazioni riscontrate sono indicative del fatto che i tessuti in via di sviluppo richiedono un'adeguata introduzione di acidi grassi essenziali, ma anche un l'invecchiamento si accompagna invariabilmente ad un accumulo intracellulare di lipofusina, un pigmento che deriva dalla polimerizzazione degli acidi grassi perossidati. Diete povere in vitamina E aumentano la formazione di perossidi, al contrario, l'aggiunta di anti-ossidanti diminuisce la formazione di radicali liberi e favorisce l'allungamento della vita in varie specie animali (4, 63.64). In particolare, le ricerche di Harman (65) hanno dimostrato che quantità di acido linolico superiori al 2% delle calorie e di acido a-linolenico superiori allo 0,5% deprimono nell'animale le funzioni cerebrali e possono favorire un'accelerazione della demenza senile. Al contrario lo stesso Autore ha dimostrato nei topolini alimentati con olio di oliva, che la speranza di vita è superiore rispetto a quella di topolini alimentati con olio di girasole e con olio di mais (66) e ciò per il miglior rapporto vitamina E/polinsaturi esistente nell'olio di oliva. Il trasferimento all'uomo delle ricerche di Harman, peraltro confermate da numerosi studiosi (67, 68), ci renderanno pertanto guardinghi nell'uso indiscriminato di oli ad alto contenuto in acidi grassi polinsaturi e ci faranno preferire fra tutti i grassi alimentari l'olio di oliva per il suo contenuto equilibrato in acido linolieco, a-linolenico e sostanze anti-ossidanti. In particolare ricordiamo i lavori di Pinckney (68) il quale, in una inchiesta sulla trasformazione della cute con il passare degli anni, ha osservato come il 78% dei soggetti che consumavano una dieta contenente oltre il 10% di polinsaturi presentasse segni spiccati di invecchiamento precoce ed avesse un aspetto più vecchio dell'età cronologica. In questo gruppo il 60% dei casi era stato sottoposto alla rimozione di una o più lesioni cutanee sospette di malignità. Un altro grave problema del vecchio è quello legato alla calcificazione delle ossa. Anche in questo caso l'olio di oliva sembra dimostrare un effetto favorevole che, secondo i già citati studi di Laval- Jeantet (59), sarebbe addirittura dose-dipendente in quanto ad un maggiore consumo corrisponde una migliore mineralizzazione dell'osso. A spiegazione del positivo effetto dell'olio di oliva gli Autori pongono diverse ipotesi, ma, quello che appare più rilevante, è il riscontro di elevate quantità di oleato tra i lipidi strutturali delle ossa. Onde ottenere una buona mineralizzazione delle ossa, è stata pertanto ravvisata la necessità di assicurare un buon apporto alimentare dioleato, associato ad una modica quantità di acidi grassi essenziali, come confermato da indagini condotte nel Sud della Francia. Questo apporto si realizza perfettamente con una dieta contenente olio di oliva. L'olio di oliva, quindi, secondo i ricercatori francesi, sembra necessario non solo durante l'accrescimento corporeo, ma anche durante l'età adulta per limitare la perdita di calcio dovuto all'invecchiamento. Nell'anziano esiste poi il problema legato alla sofferenza vascolare del cervello. Non ci soffermiamo a lungo su questo problema che verrà trattato nel prossimo capitolo, ricordiamo tuttavia che nelle vascolopatie cerebrali il rischio aterogeno non sembra tanto conseguente all'aumento del colesterolo totale, quanto alla caduta dei valori del colesterolo-HDL. Anche in questa situazione l'olio di oliva si presenta particolarmente indicato poiché il suo uso è caratterizzato, a differenza degli altri grassi alimentari, proprio da un incremento dei valori delle HDL. Infine, non va dimenticato che nella vecchiaia si verifica una riduzione delle capacità digestive ed un cattivo assorbimento delle sostanze nutritive, in particolare delle vitamine e dei sali minerali. Ora, esaminando quale sia il grasso che possiede i migliori requisiti di digeribilità e di assorbibilità, non vi è dubbio che l'olio di oliva presenta un aspetto privilegiato, né va dimenticata la sua azione blandamente lassativa (34) che contribuisce a combattere la stitichezza atonica tanto frequente in questa fase della vita. L'olio di oliva può perciò essere consumato largamente, cotto, ma ancor meglio crudo, così da conservare intatto il suo patrimonio vitaminico ed anti-ossidante. In questa maniera contribuirà a rendere appetibili le vivande e soprattutto le verdure che a loro volta, sono apportatrici di vitamine, sali minerali e fibre grezze.

OLIO DI OLIVA E ATEROSCLEROSI

Nel 1833 Lobstein introdusse il termine di «arteriosclerosi» per indicare la sofferenza distrettuale o generalizzata dell'apparato vascolare propria dell'età presenile e senile, caratterizzata da indurimento delle arterie. Il termine di «aterosclerosi» fu coniato successivamente da Marchand (1904) per descrivere una forma di arteriosclerosi con contemporanea alterazione delle tuniche intima e media delle arterie, utilizzando il termine «ateroma» dalla parola greca «athere» (pappa) impiegato nell'antica Grecia per definire una formazione cutanea contenente pus di consistenza poltacea. In analogia con la lesione cutanea, Halter, nel 1940 definì «ateromi» le placche giallastre delle arterie. Attualmente il termine aterosclerosi è universalmente accettato e la sua definizione è stata stabilita per convenzione dall'OMS (69) nel 1957 come: «una combinazione variabile di alterazioni intimali delle arterie consistenti nell'accumulo locale di lipidi, complessi di carboidrati, sangue e prodotti del sangue, tessuto fibroso e depositi di calcio, con alterazioni associate della tunica media». L'aterosclerosi costituisce una delle malattie più diffuse nei paesi industrializzati nei quali rappresenta la principale causa di morte. L'eziopatogenesi è complessa e multifattoriale: accanto ad alcuni elementi chiaramente legati alla predisposizione genetica, esistono numerosi fattori di rischio che concorrono all'instaurarsi e/o all'aggravarsi della lesione. I più importanti sono il fumo, l'ipertensione e l'ipercolesterolemia. Accanto a questi devono essere segnalati l'età (45-55 anni), il sesso maschile, il diabete, la gotta, l'obesità, l'ipertrigliceridemia, i contraccettivi orali e l'inattività fisica. Numerose ricerche cliniche, sperimentali e soprattutto epidemiologiche, condotte negli ultimi decenni, hanno posto in evidenza come l'incidenza dell'aterosclerosi sia strettamente correlata alle abitudini alimentari delle popolazioni. Esiste infatti una netta prevalenza nelle nazioni ad elevato sviluppo economico rispetto a quelle in via di sviluppo, ed anche tra le nazioni ad alto regime di vita si nota una precisa differenza a seconda delle differenze alimentari regionali. E' stato così dimostrato come un'alimentazione ricca in grassi animali favorisca il disordine del metabolismo lipidico (ipercolesterolemia) che sta alla base della patogeni della placca ateromatosa e come un aumento dei livelli del colesterolo plasmatico costituisca uno dei più importanti fattori di rischio della malattia (70, 71). Nell'intento di chiarire i rapporti patogenetici tra l'alimentazione e la comparsa della placca ateromatosa, numerosi ricercatori hanno condotto studi sistematici tra le diverse popolazioni confrontando il tipo di dieta con l'incidenza della malattia. Il più importante tra questi è il «Seven Countries Study» (72) da cui si è potuto documentare come esista uno stretto parallelismo tra la diffusione delle malattie cardiovascolari e l'eccesso dei grassi animali i quali, per il loro elevato contenuto in acidi grassi saturi,innalzano i livelli del colesterolo plasmatico. Al contrario, si è potuto anche documentare come gli oli vegetali, ricchi in acidi grassi insaturi, esercitano un'azione protettiva ipocolesterolemizzante ed antiaterogena. Nessun effetto invece, né ipercolesterolemizzante, né ipocolesterolemizzante, venne segnalato per gli acidi grassi monoinsaturi, come l'oleico, di cui è ricco l'olio di oliva. E' doveroso, però, precisare che non tutto il colesterolo plasmatico è aterogeno, ma solo quello legato alle lipoproteine a bassa densità (VLDL ed LDL) ed in particolare quello legato alle LDL, mentre la frazione del colesterolo legata alle HDL sembra avere un significato protettivo in quanto queste lipoproteine hanno il compito di rimuovere il colesterolo libero dalle cellule, esterificarlo ad opera del LCAT, e trasportarlo al fegato da dove viene allontanato con la bile*.

NOTA

* Importante è anche l'azione della apoproteina A-1, presente nelle HDL, il cui compito è quello di attivare l'azione dell'enzima LCAT e favorire così l'incorporazione del colesterolo esterificato nelle  HDL. Alcuni Autori ritengono a questo proposito che una elevata concentrazione di apo A-1  rappresenti un indice di protezione molto più importante di quello della HDL. Al contrario, l'aumento dell'apoproteina B, presente nelle LDL, sembrerebbe rappresentare un dato negativo. Numerosi studi hanno confermato l'esistenza di una correlazione negativa tra la malattia aterosclerotica ed i livelli plasmatici delle HDL che sono stati invece positivamente correlati con una più lunga speranza di vita (73, 74). A questo punto si può affermare che l'azione cosiddetta «indifferente» degli acidi grassi monoinsaturi sul metabolismo del colesterolo è stata per molto tempo male interpretata in quanto il loro consumo determina soprattutto un innalzamento dei livelli del colesterolo-HDL, mentre tale effetto non viene svolto dagli acidi grassi polinsaturi che, addirittura, sembrano abbassarne i livelli (75, 76, 77, 78). Un altro importante aspetto del problema è poi quello legato al fatto che l'azione ipercolesterolemizzante esercitata dagli acidi grassi saturi è più attiva di quella inibente esercitata dagli acidi grassi polinsaturi. In ogni trattamento mirante a combattere l'ipercolesterolemia e le sue conseguenze cliniche, appare pertanto indispensabile provvedere come prima cosa alla riduzione dei grassi saturi e solo successivamente all'incremento dei grassi insaturi. La soppressione infatti di una determinata quantità di lipidi ricchi in acidi grassi saturi conduce ad una riduzione del colesterolo plasmatico due volte superiore rispetto a quella che si ottiene con l'aggiunta di una medesima quantità di lipidi ricchi in acidi grassi polinsaturi. Se i grassi saturi vengono rimpiazzati da un grasso come l'olio di oliva, ricco in acidi grassi monoinsaturi, l'effetto sui livelli del colesterolo totale è approssimativamente uguale a quello ottenuto dalla riduzione dei grassi saturi. In altri termini, questa sostituzione permette di mantenere costante il regime alimentare lipidico senza aumentare i livelli del colesterolo. L'azione favorevole dei monoinsaturi non si limita però solo all'effetto di «sostituzione» dei saturi ed all'aumento dei valori del colesterolo-HDL, studi condotti in più parti del mondo (di cui si parlerà più avanti in esteso) hanno dimostrato che i monoinsaturi presentano un effetto quasi uguale ai polinsaturi sui livelli del colesterolo totale ed un effetto protettivo sulla mortalità coronarica. Questi importanti rilievi possono spiegare i risultati esposti da Keys (79) in uno studio comparativo sui decessi causati dalle malattie coronariche su 10.000 soggetti di sesso maschile esaminati in America, Finlandia, Italia, Grecia e Jugoslavia. I dati presentati in questo rapporto indicano che, con livelli plasmatici di colesterolo uguali, il rischio di ammalare è più o meno lo stesso per gli uomini americani e finlandesi, mentre è molto più basso per gli uomini mediterranei, ma quello che deve essere rilevato è il fatto che i mediterranei presentano, tra i grassi consumati, una elevata percentuale di olio di oliva. In questo studio un ruolo importante è stato svolto da Aravanis (80 e comunicazione personale) il quale, con i suoi collaboratori, ha condotto una indagine prospettica su 1225 uomini in età compresa tra i 40 ed i 60 anni viventi nelle zone rurali di Creta e di Corfù. I soggetti esaminati avevano un elevato consumo di grassi quasi esclusivamente derivanti dall'olio di oliva con un modesto apporto di acidi grassi saturi e polinsaturi, ed, agli esami clinici, presentavano una pressione arteriosa generalmente bassa, una concentrazione media di colesterolo di 200 mg%, di trigliceridi di 125 mg% e di colesterolo-HDL di 48,7%, unitamente ad una incidenza di cardiopatie ischemiche singolarmente bassa. Il controllo eseguito dopo circa 20 anni ha fatto rilevare come la situazione sia andata leggermente peggiorando per un aumento della morbidità e della mortalità coronarica, associato ad un aumento di circa il 10% dei livelli del colesterolo, ma quello che deve essere segnalato è che, nello stesso tempo, l'alimentazione delle popolazioni studiate si è andata lentamente modificando per una riduzione del consumo dell'olio di oliva. Altri ricercatori greci hanno convalidato le indagini di Aravanis. Christakis (81), sempre nell'isola di Creta, ha esaminato, oltre ai parametri ematochimici descritti, anche la composizione del tessuto adiposo, dimostrando la presenza di elevate percentuali di acido oleico, a conferma dell'aderenza al tipo di alimentazione. Kalofoutis e coll. (comunicazione personale), hanno studiato invece il comportamento alimentare di 5 diverse zone della Grecia (Attica, Laconia, isole di Creta, Mitilini e Cefalonia), in tutto 2190 soggetti, documentando, tra coloro che consumavano prevalentemente olio di oliva, un basso livello del colesterolo totale, un elevato livello di colesterolo-HDL ed una ridotta attività dell'enzima L-CAT.

Il consumo di olio di oliva in Grecia è ancora elevato, specie nelle zone rurali, Aravanis e coll. (80) e Kafatos (82) tuttavia rilevano che si stanno verificando alcune modificazioni delle abitudini a vantaggio di altri grassi alimentari, anche se l'olio di oliva è ancora il grasso prevalentemente usato. I dati della Grecia sono per certi aspetti paragonabili a quelli di altri paesi mediterranei. Mancini (83) ci informa infatti che nell'Italia meridionale si assiste ad un progressivo abbandono della dieta mediterranea e questo abbandono si associa ad un aumento medio annuo di 2 mg% dei livelli del colesterolo plasmatico. Nella stessa maniera Balaguer-Vintrò (comunicazione personale), in Spagna, osserva tra la popolazione industriale della Catalogna, un aumento sia del livello medio del colesterolo che delle cardiopatie ischemiche correlati a loro volta ad una modificazione della dieta abituale caratterizzata da una maggiore assunzione di grassi animali invisibili della carne e dei latticini, di grassi vegetali quali l'olio di girasole e l'olio di soia (ricchi di polinsaturi), ma soprattutto ad una riduzione del 19% dell'olio di oliva.

D'altro canto, una dimostrazione sperimentale che l'olio di oliva eserciti un'azione favorevole sui livelli del colesterolo plasmatico era stata già effettuata nel 1956 da Bronte-Stewart (84) su individui di razza bantù ai quali veniva fornita una dieta contenente 100 grammi di olio di oliva al giorno, pari al 35% delle calorie totali. Tale dieta non incrementò i livelli del colesterolo neppure quando la quantità di olio di oliva venne portata a 200 grammi al giorno, mentre si poté osservare un brusco innalzamento dei valori della colesterolemia quando l'olio di oliva venne sostituito con grasso di bue. I dati sperimentali più interessanti sono però di data più recente e dimostrano chiaramente come l'acido oleico, monoinsaturo, svolga un'efficace azione ipocolesterolemizzante, praticamente uguale, se non migliore, a quella dell'acido linoleico, polinsaturo. Il primo studio in tal senso è stato quello condotto in Francia da Jacotot (85 e comunicazione personale) il quale ha trattato, per un periodo di 6 mesi, due gruppi di religiosi (63 monaci e 62 suore benedettini) con apporti lipidici di diversa composizione in acidi grassi (olio di oliva, grassi animali, oli di semi di girasole, colza, soia, arachidi e mais). Nel periodo relativo all'olio di oliva il gruppo di monaci ha presentato un tasso di colesterolo totale praticamente invariato ed un aumento significativo del colesterolo-HDL. Nelle suore invece è stata rilevata una riduzione non significativa del colesterolo totale, una scarsa modificazione del colesterolo-HDL, un aumento significativo delle apoproteine A ed una diminuzione dell'aggregazione piastrinica, a livelli inferiori a quelli ottenuti con gli altri regimi dietetici.

De Oya e coll. (comunicazione personale), hanno studiato anch'essi due gruppi di religiosi (36 seminaristi e 13 suore) ai quali venivano forniti circa 110 grammi di lipidi di cui 46 provenienti dagli oli in esame (oliva e girasole). Per un periodo di 45 giorni fu somministrato olio di girasole e quindi, dopo un controllo dei parametri ematochimici, il girasole fu sostituito con olio di oliva per tre mesi. Dall'osservazione dei dati gli Autori hanno potuto rilevare che la sostituzione dei polinsaturi con i monoinsaturi non ha modificato il colesterolo totale, mentre ha indotto un aumento del colesterolo-HDL, più accentuato nelle donne ed una modesta diminuzione del colesterolo-LDL negli uomini. Carmena e coll. (comunicazione personale), sempre su religiosi (20 monaci certosini) hanno alternato ogni due mesi, per un periodo di dieci mesi, la somministrazione di 40 grammi di olio di oliva con 40 grammi di olio di girasole, controllando alla fine di ogni periodo il comportamento dei parametri ematochimici. Nel periodo di tempo esaminato, il livello del colesterolo totale tendevano ad essere più bassi con l'olio di girasole, mentre con l'olio di oliva si verificava un sensibile aumento del colesterolo-HDL. Anche il colesterolo-LDL aumentava con l'olio di oliva ed ugualmente aumentavano le apoproteine, in special modo le apo A-1. Mancini e coll. (86, 87, 88) hanno condotto una serie di studi sulla prevenzione delle cardiopatie ischemiche controllando anche, mediante gascromatografia, la composizione del tessuto adiposo in quanto rispecchia la composizione della dieta. Dai loro studi gli Autori hanno potuto confermare come l'assunzione regolare di olio di oliva contribuisca a ridurre il rischio della cardiopatia ischemica soprattutto perché l'apporto dell'acido oleico si associa ad una simultanea contrazione degli acidi grassi saturi. Inoltre, hanno osservato una correlazione diretta tra la concentrazione percentuale di acido oleico nel tessuto adiposo e l'apporto delle fibre vegetali (alle quali viene attribuito un significato protettivo nei confronti dell'aterosclerosi), correlazione che è apparsa invece inversa con la percentuale di acidi grassi saturi e polinsaturi. Sulla base di questi risultati gli Autori hanno ritenuto di poter affermare che una composizione ottimale del tessuto adiposo può essere l'espressione non soltanto di una dieta ricca in acidi grassi polinsaturi e povera in fibre, ma anche di una dieta ricca in acidi grassi monoinsaturi e ricca in fibre vegetali solubili, molto frequente e tradizionale nelle popolazioni del bacino mediterraneo. La validità di queste considerazioni è stata confermata dagli stessi ricercatori con uno studio sperimentale in corsia metabolica, con il quale è stato dimostrato come l'effetto ipolipidemizzante di una dieta arricchita in polinsaturi e povera in fibre è più o meno equivalente a quello ottenuto da una dieta ricca in monoinsaturi e ricca in fibre (89). Diete terapeutiche del genere sono state perciò prescritte ad oltre 200 pazienti ambulatoriali con iperlipidemie di diverso tipo, ottenendo una normalizzazione del quadro lipidemico nel 50% dei casi (90, 91, 92, 93). Gli Autori sottolineano che la correzione dell'iperlipidemia è dovuta ad una riduzione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) mentre le lipoproteine ad alta densità (HDL) si mantengono costanti (91). Infine, gli studi di Mancini si sono rivolti anche al comportamento della pressione arteriosa, osservando come il regolare consumo dell'olio di oliva si accompagni a valori della pressione arteriosa significativamente più bassa (88, 94), confermando quanto in Grecia era stato rilevato da Aravanis. Viola e coll. (95), in uno studio sul microcircolo, hanno esaminato due gruppi di volontari sani (32 soggetti) ai quali era stata fornita una dieta contenente rispettivamente 80 grammi di olio di oliva o di olio di girasole, oltre a 20 grammi di lipidi invisibili. Dai controlli effettuati gli autori hanno rilevato un comportamento favorevole, pressoché analogo, degli oli in esame, sia sul quadro capillaroscopico della congiuntiva bulbare, che sul quadro lipidemico. In particolare, per quanto riguarda quest'ultimo, sono stati osservati: una riduzione significativa della trigliceridemia con tutti e due gli oli, una riduzione della colesterolemia con tutti e due gli oli, una riduzione della  colesterolemia significativa con olio di girasole, una riduzione modesta non significativa del colesterolo LDL con tutti e due gli oli, un aumento significativo del colesterolo-HDL con olio di oliva ed una riduzione non significativa con olio di girasole, un aumento della apoforeti A ed una riduzione dell'apoforeti B non significativa con olio di oliva, una diminuzione significativa sia della apoforeti A che della apoforeti B con olio di girasole, una riduzione significativa della viscosità del sangue con tutte e due gli oli e una riduzione non significativa dell'aggregazione piastrinica con tutti e due gli oli. Zoppi e coll. (96) hanno studiato invece 70 pazienti (40 maschi e 30 femmine) affetti da vasculopatie periferiche che seguivano una dieta a base di olio di mais. I pazienti sono stati divisi a caso in due gruppi, di cui il primo ha continuato ad assumere olio di mais, mentre il secondo ha modificato la dieta con olio di oliva. L'esperimento è stato condotto per 6 mesi e, dai controlli eseguiti, sì è potuto constatare che i pazienti del primo gruppo (mais) non presentavano significative  riduzioni dei livelli del colesterolo totale e del colesterolo-LDL, mentre quelli del secondo gruppo mostravano un moderato aumento del colesterolo totale, una più evidente diminuzione del colesterolo-LDL, ma soprattutto un marcato innalzamento, statisticamente significativo, del colesterolo-HDL che con l'olio di mais si era mantenuto costantemente basso.

Infine, Mattson e Grundy (97) hanno pubblicato uno studio sperimentale condotto in corsia metabolica su 20 uomini (di cui 12 metabolicamente normali ed 8 ipertigliceridemici) alimentati per 4 settimane con diete iperlipidiche (40% delle calorie totali) a diverso contenuto in acidi grassi, rispettivamente a base di olio di palma (saturi), olio di cartamo (polinsaturi) ed una varietà genetica dello stesso olio di cartamo (monoinsaturi). Nei soggetti normotrigliceridemici il colesterolo totale ed il colesterolo-LDL diminuirono in maniera statisticamente significativa sia con i monoinsaturi che con i polinsaturi; il colesterolo-HDL diminuì , anche se in maniera non significativa, solo con i polinsaturi, mentre i trigliceridi non manifestarono che modeste variazioni, non significative. Nei soggetti ipertrigliceridemici il colesterolo totale subì una diminuzione del 10%, statisticamente significativa, sia con i monoinsaturi che con i polinsaturi ed ugualmente scese in maniera statisticamente significativa il colesterolo-LDL; il colesterolo-HDL non fu modificato da nessuno dei due grassi in esame, mentre i trigliceridi scesero del 13% con i polinsaturi e non furono modificati dai monoinsaturi (seppure in maniera statisticamente non significativa). Da questi risultati gli Autori hanno ritenuto di poter concludere che sia i polinsaturi che i monoinsaturi svolgono il medesimo effetto nel ridurre il colesterolo totale ed il colesterolo-LDL, ponendo però in rilievo il fatto che i polinsaturi spesso riducono anche il colesterolo-HDL (75, 76, 77, 78), ciò che invece accade meno frequentemente con l'acido oleico. Le conclusioni che si possono trarre da questi lavori, effettuati in condizioni sperimentali diverse, conducono ad una comune conclusione positiva: l'acido oleico, monoinsaturo, di cui è ricco l'olio di oliva, svolge un'azione quasi sovrapponibile a quella degli acidi polinsaturi sui livelli del colesterolo totale, del colesterolo-LDL e dei trigliceridi, mentre, sul colesterolo-HDL sembra svolgere addirittura un effetto migliore. Queste osservazioni possono pertanto rendere ragione dei risultati rilevati dal «Seven Countries Study» nelle regioni del bacino mediterraneo, ed, a questo proposito, riportiamo alcune considerazioni esposte dallo stesso Keys (comunicazione personale): «Le maggiori informazioni raccolte in 15 anni di esperienza dimostrano che il rischio della morte coronarica di uomini di mezza età è fortemente correlato alla pressione arteriosa, al livello del colesterolo sierico ed al fumo delle sigarette. Questi stessi fattori sono anche correlati a tutte le cause di morte prematura nel Seven Countries Study. Il peso corporeo, l'obesità (stimata dallo spessore delle pliche cutanee) e l'attività fisica sono molto meno importanti di quanto ritenga la pubblica opinione. Per quanto riguarda la dieta, la media del colesterolo nel sangue è strettamente correlata dalla media percentuale delle calorie derivanti dagli acidi grassi saturi, molto meno importante è invece la quantità globale dei grassi introdotti. Gli altri nutrienti non sono correlati in modo significativo né al colesterolo sierico, né alla mortalità. Il più alto tasso di mortalità è stato trovato in Finlandia, dove è quasi tre volte maggiore rispetto all'Europa del Sud, il più basso è stato trovato in Grecia ed in Giappone. La morte coronarica presso gli americani e gli olandesi è meno comune che tra i finlandesi, ma molto più frequente rispetto ai greci, agli italiani, agli jugoslavi ed ai giapponesi. La mortalità totale è anche più bassa nel Sud-Europa che nel Nord-Europa, eccetto nelle aree della Jugoslavia dove le morti per tubercolosi hanno determinato un aumento della mortalità globale. Il vantaggio dei Sudeuropei sulla mortalità totale è quasi tutto dovuto al basso tasso di mortalità coronarica. Le principali malattie dell'umanità, ad eccezione di alcune malattie infettive, hanno raramente un'unica causa. Le cardiopatie ischemiche, principale causa di morte in molte nazioni industrializzate, conoscono infatti un'origine multifattoriale: oltre all'ipertensione arteriosa, al colesterolo sierico ed all'uso delle sigarette, concomitano altri fattori quali l'età, il sesso e l'ereditarietà, oltre ad altre malattie come il diabete mellito. Estrema cautela è necessaria per interpretare i risultati del Seven Countries Study, così come di altre indagini epidemiologiche. Perché gli uomini della Grecia e dell'Italia sono meno colpiti dalle coronaropatie rispetto agli uomini del Nord-Europa e degli Stati Uniti? E' facile ed assolutamente ingiustificabile ipotizzare che ciò sia dovuto semplicemente all'unica differenza che i greci consumano olio di oliva, accanto all'uso dell'olio di oliva, i greci ed i finlandesi conducono un uguale modello di vita? E come spiegare il fatto che i giapponesi, che non hanno consumato una goccia di olio di oliva in tutta la loro vita presentano ancor meno coronaropatie dei greci? I giapponesi non sono protetti geneticamente poiché quando vivono per generazioni negli Stati Uniti e si adattano al modello di vita americano, finiscono col presentare la medesima suscettibilità ad ammalare. Oltre all'olio di oliva, esistono altre differenze tra il Nord ed il Sud dell'Europa che potrebbero spiegare il contrasto esistente nella frequenza degli attacchi coronarici. Ad esempio, differenze climatiche, che però non possono spiegare come mai gli Americani che vivono in zone climatiche contrastanti quanto tra la Grecia e la Finlandia, differiscono molto poco nel tasso di mortalità coronarica, mentre i greci e gli italiani che hanno vissuto per molto tempo in America e si sono americanizzati non hanno dimostrato speciale protezione.

Sembra chiaro che il diverso stile di vita in Italia ed in Grecia, paragonato con il Nord-Europa e gli Stati Uniti, giochi un grande ruolo nel favorire la suscettibilità alla malattia coronarica. Oltre alle differenze tra i grassi della dieta, sono state riscontrate diversità nell'uso di aglio, cipolla, verdure, frutta fresca, bevande alcoliche (vino in confronto a birra e superalcolici) e latte come bevanda per adulti. Le diete abituali tra le nazioni mediterranee sono più ricche in fibre di quelle consumate nel Nord-Europa e negli Stati Uniti. Le fibre della dieta sono considerate un fattore protettivo. Ma, nonostante queste considerazioni, una conclusione positiva è sicura: l'uso dell'olio di oliva, come maggior componente della dieta e grasso predominate di una dieta relativamente ricca in grassi, è certamente compatibile con un eccellente risultato nell'incidenza delle cardiopatie ischemiche e nel raggiungimento della longevità.

Quali quindi le raccomandazioni per il pubblico?

Non molti anni fa i consigli dietetici erano limitati alla prevenzione delle carenze, all'assicurazione di cibo variato, ad una buona igiene pubblica. La scoperta oggi che la dieta, in particolare i grassi, può esercitare una ripercussione sul mantenimento della salute, ha portato ad implicazioni di grandi interessi commerciali. I produttori di oli di semi hanno cercato di fare un'intensa propaganda circa le virtù dell'acido linoleico nei loro prodotti, a loro volta le industrie delle carni e lattiero-casearie hanno reagito negando gli effetti dannosi degli acidi grassi saturi e cercando di rendere più magri le carni ed il latte. L'uso del burro è declinato rapidamente, mentre la vendita di margarine molli e di oli vegetali ha invaso il mercato.

In questi cambiamenti l'industria dell'olio di oliva ha sofferto a causa dell'alto costo di lavorazione, maggiore di quello degli oli di semi, e gli abitanti delle zone olivicole hanno cominciato ad accettare le abitudini degli abitanti del Nord-Europa con il risultato i un grande incremento del consumo di carne e di prodotti lattiero-caseari al posto dell'olio di oliva. Accanto ai riflessi economici di questo cambiamento di dieta vi sono ragioni per temere con il tempo la comparsa di effetti sulla salute. Nel Seven Countries Study è stato visto un allarmante incremento della concentrazione del colesterolo sierico negli uomini dell'area mediterranea ed un numero molto maggiore di pazienti coronarici. In contrasto, in Finlandia molte campagne (iniziate alcuni anni fa per persuadere la gente a mangiare meno latticini e carni grasse e più vegetali e frutta) hanno portato ad una riduzione delle cardiopatie ischemiche. Questo favorevole cambiamento nella salute non deve però essere tutto accreditato ai cambiamenti della dieta. Infatti, le campagne per la difesa della salute hanno incluso anche il controllo della pressione arteriosa e la sospensione del fumo. Ecco allora il messaggio per il pubblico: il consumo della carne e dei grassi di latteria deve essere diminuito, ma non è necessario insistere con le diete eccessivamente ridotte in lipidi come nel caso dei giapponesi. Gli oli vegetali, incluso l'olio di oliva, sono raccomandati al posto dei grassi animali (carni e latticini), ma deve essere sempre ricordato che tutti i grassi sono ricchi in calorie e l'obesità diventa un problema quando decresce l'attività fisica.

Per quanto riguarda la scelta tra olio di oliva ed i diversi oli di semi non vi sono preoccupazioni circa gli effetti sul colesterolo sierico. La sostituzione dell'olio di oliva con l'olio di cotone o con altri oli di semi non ha che trascurabili effetti sui livelli del colesterolo sierico. Bisogna, però, approfondire le cognizioni circa regimi molto ricchi di acidi grassi polinsaturi, giacché non esiste nessuna esperienza che permetta di giudicare gli effetti a lungo termine sulla salute di popolazioni che si nutrono di regimi nei quali gli acidi polinsaturi apportano oltre l'8-10% delle calorie totali».

Ci è parso doveroso riportare per esteso le parole del grande nutrizionista americano, artefice del «Seven Countries Study», perché piene di buonsenso e di obiettività. Noi ci permettiamo di aggiungere che gli acidi grassi polinsaturi, consumati in eccesso, sono facilmente perossidabili e, per questo motivo,  possono diventare essi stessi aterogeni. La perossidazione lipidica rappresenta infatti una possibile causa di lesione endoteliale e di iperaggregabilità piastrinica. Gli acidi grassi rilasciati a livello delle lesioni aterosclerotiche inoltre, in particolare l'acido arachidonico, vengono perossidati ed i perossidi lipidici determinano una diminuzione locale della prostaciclina. La prostaciclina risulta così ridotta non solo nelle placche fibrose, ma anche nelle strie lipidiche, stadio che precede la formazione delle placche stesse. L'azione antiaterosclerotica della vitamina E si svolge infatti proprio attraverso un meccanismo di protezione dell'acido arachidonico impedendo la formazione di idroperossiderivati che, a loro volta, inibiscono la prostaciclino-sintetasi.

Indipendentemente da ogni altra considerazione circa gli effetti dannosi della perossidazione lipidica e della reazione dei radicali liberi su altri organi ed apparati, ci sembra pertanto ragionevole concludere che nella prevenzione della malattia aterosclerotica si dovrà provvedere come prima cosa alla riduzione dei grassi animali, visibili ed invisibili, e quindi alla loro sostituzione con olio di oliva, ricco in monoinsaturi, ma contenente anche una equilibrata quantità di polinsaturi adeguatamente protetta dagli anti-ossidanti, quali l'a-tocoferolo. Questa impostazione dietetica, confermata dalle indagini epidemiologiche e sperimentali dianzi esposte, ci consente di realizzare una razionale profilassi dell'aterosclerosi, dalla quale ci si potrà attendere un soddisfacente controllodel colesterolo plasmatico senza incorrere nel rischio di effetti collaterali indesiderabili.

OLIO DI OLIVA E FRITTURE

Nell'intento di rendere più gradevoli gli alimenti l'uomo è ricorso alla loro preparazione culinaria mediante l'ebollizione, l'arrostimento, l'affumicamento e la frittura. Con quest'ultima modalità si raggiungono nei grassi temperature molto elevata. Varela e coll. (105) tuttavia hanno dimostrato sperimentalmente che durante la frittura la temperatura nell'interno degli alimenti si mantiene costantemente sui 100o C, fintanto che l'acqua contenuta negli alimenti stessi non sia completamente evaporata. Affinché il grasso sottoposto a riscaldamento possa penetrare nell'interno è necessario infatti che l'acqua evapori nella maggior parte o nella sua totalità. Per questo motivo il tempo reale di azione del grasso riscaldato sugli alimenti è molto breve e ciò rende ragione del fatto oggi accertato che il danno termico provocato dalla frittura non è maggiore di quello che si verifica con altre tecniche culinarie ed anzi, in taluni casi, è anche minore. Peraltro, quando si parla di alterazioni che intervengono nel grasso di frittura conviene distinguere chiaramente tra quelle consecutive alle temperature eccessive (overheating) e quelle che realmente avvengono nella frittura degli alimenti. E' importante quindi conoscere quali alterazioni si possono verificare a carico dei lipidi e fino a che punto tali alterazioni possono ritenersi innocue per la salute.

Le elevate temperature, in presenza dell'ossigeno atmosferico, accentuano questi fenomeni di autoossidazione che i grassi subiscono spontaneamente anche a temperatura ambiente. Questi fenomeni sono proporzionali al grado di insaturazione del grasso ed all'eventuale concomitanza di sostanze pro-ossidanti, mentre vengono contrastati dalla presenza di sostanze anti-ossidanti. I grassi animali, pur possedendo un basso grado di insaturazione, subiscono rapidamente il processo di auto-ossidazione in quanto sono privi di agenti anti-ossidanti, gli oli di semi subiscono anch'essi rapidamente questo processo poiché, sebbene contengano una buona quantità di agenti antiossidanti (in forma di tocoferoli), presentano un elevato grado di insaturazione; l'olio di oliva invece si comporta in maniera molto stabile di fronte all'attacco dell'ossigeno atmosferico poiché, oltre a possedere un grado intermedio di insaturazione, contiene numerose sostanze anti-ossidanti (atocoferolo e polifenoli).

Ricerche di Fedeli (26) hanno dimostrato che la stabilità dell'olio di oliva si mantiene anche alle temperature elevate di frittura, al contrario di quanto  accade per gli oli di semi, non solo per la presenza degli anti-ossidanti, ma anche per la ricchezza in acido oleico. Sono infatti gli acidi grassi polinsaturi quelli che maggiormente vengono a subire il danno termo-ossidativo e tale suscettibilità è proporzionale al grado di insaturazione medio dell'olio, ma anche al numero dei doppi legami presenti nella singola catena dell'acido grasso, nel senso che, mentre un acido grasso saturo ha una velocità di insaturazione molto bassa, che può essere posta pari a 1, il monoinsaturo ha una velocità di 10, il di-insaturo di 100 ed il tri-insaturo di 10.000 (98, 99). Oltre che al grado di insaturazione, l'entità delle alterazioni dei grassi è proporzionale al grado della temperatura raggiunta, alla durata del riscaldamento, alla natura dell'alimento cotto (che può cedere alcuni dei suoi costituenti) ed all'eventuale presenza di catalizzatori. I prodotti di alterazione che si formano nei grassi sottoposti alle alte temperature sono i perossidi, le aldeidi, i chetoni, gli idroperossidi, i polimeri ed i monomeri ciclici. Ciascuno di questi composti può essere responsabile di effetti tossici, anche se le aldeidi ed i chetoni, essendo volatili, vengono facilmente eliminati ed i polimeri vengono difficilmente assorbiti. Gli effetti tossici possono interessare lo stomaco, il fegato, l'apparato cardiocircolatorio, il rene e la velocità di accrescimento dell'animale da esperimento. Non deve essere dimenticato infine che anche il valore nutritivo degli alimenti cotti può risultare danneggiato.

EFFETTI BIOLOGICI DEI GRASSI TERMO-OSSIDATI

Gli studi condotti sugli effetti tossici dei prodotti di degradazione dei grassi termo-ossidati sono stati effettuati quasi esclusivamente su animali e quasi sempre in condizioni estreme, utilizzando come unica fonte lipidica il grasso sottoposto a frittura, trattato con temperature notevolmente elevate e protratte per molte ore. Per questo motivo è difficile trasferire all'uomo i risultati di tali ricerche sperimentali, anche se alcune considerazioni sembrano di un certo interesse. Come già detto, le maggiori alterazioni chimico-fisiche riguardano gli acidi grassi polinsaturi e sono determinate da fenomeni perossidativi che possono essere limitati dalla presenza di agenti antiossidanti. L'olio di oliva, per la sua insaturazione intermedia e la ricchezza in anti-ossidanti, si trova in una situazione di privilegio e sono necessarie temperature particolarmente intense e prolungate per determinarne evidenti alterazioni. Infatti, studi condotti con diversi tipi di grassi hanno messo in evidenza come la somministrazione di grassi saturi e polinsaturi (burro, strutto e girasole), sottoposti ad un trattamento termico di 170oC per circa 2 ore, abbia provocato la comparsa di un danno epatico, mentre tale danno non si è manifestato con la somministrazione di grassi monoinsaturi (olio di oliva) sottoposti al medesimo trattamento (100). Tutti e tre i tipi di grassi invece (saturi: strutto, monoinsaturi: olio di oliva, polinsaturi: olio di mais e di ravizzone), riscaldati a 180oC per un periodo di tempo molto più lungo (72 ore), hanno determinato severe alterazioni a carico del fegato (101). Interessante appare il comportamento dei grassi riscaldati sull'apparato cardiocircolatorio. Accanto a possibili danni del muscolo cardiaco e della parete arteriosa provocati dagli acidi grassi perossidati, è stata segnalata un'alterazione del bilancio prostacirclina/trombossano a favore di quest'ultimo con aumento dell'aggregabilità delle piastrine, fenomeno che può essere prevenuto dalla contemporanea somministrazione di vitamina E (102). Anche i lipidi plasmatici possono essere influenzati dal tipo di grasso utilizzato per la cottura. A questo proposito Kritchevsky e coll. (103) hanno studiato nel coniglio l'effetto dell'olio di oliva e dell'olio di mais, crudi e sottoposti a cottura per 20 minuti a 215oC, associati ad una dieta arricchita con il 2% di colesterolo sciolto nell'olio in esame. Da questi esperimenti gli Autori hanno concluso che il riscaldamento dell'olio di oliva provoca solo un leggero incremento dell'ateromasia, mentre il riscaldamento dell'olio di mais è considerevolmente più aterogenetico.

Per quanto riguarda l'effetto sulle vie biliari, uno studio effettuato da Charbonnier (104) ha dimostrato che l'olio di oliva riscaldato a 200°C per 3 ore non perde le proprietà colecistocinetiche. Somministrando infatti a volontari sani, mediante sonda duodenale 40 ml di olio di oliva vergine crudo o riscaldato, ha potuto dimostrare che non esistono differenze tra l'olio crudo e cotto sia per quanto concerne le proprietà coleretiche e colagoghe, sia per quanto concerne la composizione della bile che, al contrario, si modifica con oli più altamente insaturi. Infine, importanti appaiono gli studi di Varela e coll. sulla cinetica della penetrazione dell'olio di oliva negli alimenti nel corso della frittura. Da questi studi (105, 106, 107) si è potuto dimostrare che l'olio di oliva non penetra nell'alimento, restando alla periferia, mentre altri grassi vi penetrano totalmente o in gran parte. Anche la digeribilità dell'olio di oliva cotto non si modifica, come ha dimostrato lo stesso Autore (108), neppure dopo 10 fritture ripetute di carne o di sardine. In conclusione, da tutte queste indagini appare evidente la migliore idoneità dell'olio di oliva per quanto riguarda l'uso della frittura per la maggiore resistenza al deterioramento ossidativo che conduce ad una minore comparsa di danni a carico dell'organismo, come dimostrato sperimentalmente in vivo.

LA DIETA MEDITERRANEA

I grassi alimentari, pur svolgendo un importante ruolo biologico, non possono essere considerati disgiunti dall'insieme di tutta l'alimentazione, sia per quanto riguarda la quantità globale delle calorie, sia per quanto riguarda i rapporti con gli altri nutrienti. Oggi si assiste, nei paesi industrializzati, ad un crescente errore alimentare legato all'eccesso calorico (sia per maggiori disponibilità degli alimenti, che per la ridotta attività fisica) ed al frequente squilibrio tra i nutrienti: aumenta il consumo percentuale dei lipidi con incremento degli acidi grassi saturi, ma anche dei polinsaturi a scapito dei monoinsaturi; diminuisce il consumo dei glicidi, ma, tra questi, aumentano gli oligosaccaridi; aumentano gli alimenti di origine animale, con maggiore introduzione di proteine di alto valore biologico, ma nello stesso tempo con maggiore introduzione di grassi saturi invisibili; gli alimenti vegetali freschi vengono conservati, surgelati, o sottoposti a cotture con perdita del loro tenore vitaminico e minerale; la raffinazione degli alimenti riduce ulteriormente il contenuto vitaminico e diminuisce le fibre grezze vegetali. Tutte queste modificazioni, determinate dal progresso tecnologico, dal sempre più frequente ricorso ai «fast-foods», dalle modificazioni del gusto e delle abitudini, non possono non esercitare negative ripercussioni sullo stato di salute delle popolazioni con aumento delle malattie dismetaboliche. Appare pertanto necessario cercare di porre un freno a questo nuovo modo di alimentarsi e ricondurre le popolazioni verso un modello di dieta più parca e più equilibrata, quale quella mediterranea. Questa dieta è caratterizzata infatti da un moderato consumo di carni e di prodotti lattiero-caseari, da una maggiore introduzione di glicidi complessi, frutta e vegetali freschi (apportatori non solo di vitamine e minerali, ma anche di fibre), da un discreto consumo di pesce (contenente acidi grassi insaturi della serie n-3), e, per quanto riguarda i lipidi, da una prevalente assunzione di olio di oliva.

L'olio di oliva, per la sua composizione equilibrata, svolge un sicuro effetto protettivo sulle arterie, sullo stomaco, sul fegato, favorisce l'accrescimento del bambino e prolunga la speranza di vita, consentendo nello stesso tempo, per i suoi caratteri organolettici, una gratificazione del palato. Ci sembra giusto  pertanto concludere, tra verità e leggenda, ricordando come un giorno le piante si riunirono per eleggere un re. Dopo avere a lungo discusso, tutte si trovarono d'accordo nell'eleggere l'olivo, ma questi si rifiutò di accettare il pur lusinghiero incarico rispondendo: «E' troppo importante la missione che Dio mi ha assegnato per il bene dell'umanità perché io possa occupare il mio tempo nelle cure del governo».