"FUSSATOTI RITORNATE VIRTUALMENTE ALLE VOSTRE ORIGINI"

 

 

 Fussatoti  pinsirùsi  4

Giovanni, Carmelo e…. la roccaforte

 

La solita panchina, la solita Piazza Municipio, il solito bar alle loro spalle. La serata era splendida. L’afoso caldo agostano che aveva infierito anche sui primi giorni di settembre era stato spazzato via dal notturno violento temporale e aveva ceduto il posto al primo fresco settembrino. Si stava bene in Piazza Municipio. Il palco era stato smontato e con esso tutte le luminarie aggiunte, le sedie rimesse a posto ordinatamente. Al tempo dei bilanci i pro avevano superato di gran lunga i contro. Anche quest’ anno i Fossatesi si sono abbuffati di incontri, di chiacchierate, di ritorno alle radici, di “ti rricordi quandu erimu figghjoli”, “ ma caspita tu non mvecchi mai, pari cu tempu pi ttia non passa, sì sempri u stessu”, “puru tu e mmi faci piaciri assai”,  “menu mali chi nci sunnu stì sirati, cu stà scaggiuni ndi vidimu tutti in chjazza”, “tunondacchiù, e’lajujanchimalaju” con riferimento al cuoio capelluto, ed anche di musica, di giochi, di bevute al bar e conoscenza di gente anche non fossatese. Poi il ritorno al lavoro, la fine delle vacanze, a pensare al mese trascorso al paese natio, a rimuginare su quello che si è fatto e detto e su quello che invece è sfuggito   e …… mannaggia               ….. speriamo di avere salute e fortuna … il prossimo anno …. magari. Tutti contenti? E chi lo sa. Sarebbe troppo bello!

Pensavano  queste cose Giovanni e Carmelo, a mente calma. Loro non avevano bilanci da quadrare ma erano contenti lo stesso per come erano andate tutte le faccende. Solo Giovanni era cchiù pinsirusu del solito. Stranamente non aveva dato fuoco alla pipa, la teneva penzoloni  tra i denti,  lo sguardo perso in lontananza. Se ne accorse Carmelo. Cercò di seguire quello sguardo che si perdeva oltre le montagne del Serro.

Carmelo :  Chi ti succedi stasira, ti viu pirdutu. Chi ti passa pa’ testa? Cosi pisanti, chì non ti non ti dhumasti mancu a pipa?

Giovanni :  Ma chi pisanti e pisanti. E’chi stanotti fici nu sonnu curiusu e, sulu mi ripensu, mi veni mi ridu. E siccomu ridendu mi pozzu ffucari eccu chi no dhumai a pipa, cusì no mi ffucu.

Carmelo: E fammi ridiri puru a mmia, tantu eu no mmi ffucu, u sicarru no’ dhumu mai.

Giovanni: Non sacciu comu mi ncuminciu e dundi mi ncuminciu, ma siccomu aju a ncuminciari, ncuminciu comu ncuminciavunu i nostri nonni quandu ndi cuntavunu i fatti ntichi, pì mi ndi fannu stari bboni. Quindi …..nc’era na vota.

Giovanni inizia così a raccontare il suo sogno:

“C’era una volta un re, anzi un principe. Apparteneva ad una famiglia di antico lignaggio, il suo nome era Norberto Sordo Comenacampana. Abitava nel principato di Comenaca famoso per i suoi monasteri, le sue chiese e i suoi campanili. Era un principato ricco di campi, di prati e di castelli. I sudditi stavano bene, i vassalli abitavano le loro ricche dimore con le loro mogli vassallesse e le loro figlie vassallessine. Gli altri erano soldati o contadini, ma stavano bene lo stesso. Tra di loro non c’era campanilismo, vivevano in pace.  Il principe prese in sposa una bella principessa che aveva conosciuto in un convivio di nobili a cui era stato invitato quando era giovane. Quasi un colpo di fulmine seguito  da  una serie di tuoni talmente forti che quasi ci rimetteva l’udito. Ma cionondimeno seguì il protocollo e inviò gli ambasciatori per la richiesta della mano.

La principessa si chiamava Ardita Squillo Dicampana. Sembrava, dal nome, che ci potesse essere qualche lontana parentela, ma non era così. Non erano parenti, era solo un’assonanza,  anche se a quell’epoca si usava combinare tra parenti per non disperdere nomi e patrimoni.

Vissero felici Norberto e Ardita. La loro unione fu allietata dalla nascita di un principino che per nascere scelse la notte di Pasqua proprio al momento della Resurrezione. Le campane del principato squillarono a festa, anzi a doppia festa, e per la Resurrezione e per la nascita del principino. Non fu difficile scegliere un nome quella notte. Il principino fu chiamato Ndindondà, a inizio di una nuova stirpe di nobile lignaggio:  Ndindondà di Ardita Squillo Dicampana e di Norberto Sordo Comenacampana del Principato di Comenaca.

Con tutto questo seguito il principino non ebbe difficoltà a crescere al meglio. Di tutto e di più per lui e per i suoi piccoli amici che crescevano con lui. Cresceva il principino e come tutti i figli unici cresceva un po’ viziatello, dacché il principe padre e la principessa madre distratti dalla bellezza dell’erede non ebbero tempo di pensare di mettere al mondo altri pargoli. Insofferente alla disciplina e al protocollo faceva di testa sua passando il tempo a girovagare per il principato pascolando nei prati più verdi e teneri o abbeverandosi alle fonti più fresche. E ce n’erano di pascoli e di fonti nelle case dei vassalli e dei contadini. Il miraggio di un’ascesa alla corte, di un cambio di vita, di una sistemazione faceva sì che l’erba dei pascoli fosse sempre verde e l’acqua delle sorgenti fosse sempre fresca. Al principe veniva concesso tutto. Protocollo veniva messo da parte e il principe non doveva faticare.

Ma questa facilità alla lunga divenne stucchevole. Il principe aveva bisogno d’altro. Sentiva in sé il bisogno di lottare per conquistare, in fondo era anche un principe guerriero.

Si era sparsa la voce che quasi ai confini estremi del principato un vassallo vedovo viveva con la giovane figlia che si occupava di lui in modo encomiabile. Si diceva che era bellissima quasi come una regina e che il padre, in un momento di gelosia, fece costruire un castello inespugnabile per mettere la figlia al sicuro quando lui si doveva assentare.

Il principe disse: La voglio, e partì a cavallo armato di tutto punto lasciando a casa Protocollo e tutto il seguito nonostante gli accorati appelli della madre che lo supplicava di non lasciare a casa  Protocollo anzi lo esortava a portarselo appresso perché sapeva che sarebbe servito. Il principe altero e sicuro di sé non sentì ragioni e partì da solo in groppa al suo cavallo alabardato, armato della sua lancia, della sua spada e della sua voglia di conquista.

Arrivato nei pressi del castello vide lo schieramento difensivo e rimase colpito. Per un attimo diede un colpo di freno al suo destriero ma poi  proseguì ribaldo alla conquista della roccaforte. Due giganti lo affrontarono. Erano i primi difensori della roccaforte. I loro nomi erano Pants e Tena. Il loro compito era preciso e chiaro: Nessuna fuoriuscita, nemmeno a tradimento, dalla roccaforte che potesse spianare la strada al conquistatore, e grande tenuta all’esterno. Questo era il loro compito e per questo lottarono fino allo stremo delle forze. Il principe, s’era detto che era un guerriero e come un guerriero lottò con il vantaggio di colpire a distanza con la sua lancia ma fece un gran fatica e temeva di non farcela ma dopo una dura lotta riuscì, a ridurre in brandelli la resistenza di quei due guardiani esterni. Superò la prima linea difensiva ma non immaginava che la seconda l’avrebbe impegnato oltre ogni limite. L’amazzone Nuvenia era al comando di una squadra di Serpamp e Dorilin ai lati dello schieramento, con al centro i più leggeri e mobili Setaconleali e Velointervallo. Questa squadra bloccata in posizione riuscì a rallentare l’azione del principe che non potendo più usare la lancia per questioni di spazio fu costretto a sguainare la lunga spada, sempre in sella al suo cavallo che cominciava a diventare nervoso per le lungaggini della battaglia, avanzando e arretrando cercò di fiaccare la resistenza dei difensori. La battaglia fu terribile e dispendiosa  e quando sembrava che per il principe le cose si stessero mettendo male, un fendente della sua spada colpì Nuvenia che cadde, mentre la squadra priva del suo comandante si disperdeva sulle falde della roccaforte. Si riprendeva Velointervallo assestandosi in una posizione strategica per creare un diversivo nel caso le cose non fossero andate per il verso giusto, per guadagnare tempo e dare modo all’altra squadra di posizionarsi e creare un’altra barriera difensiva. Squadra molto agile e combattiva, sgusciante come la seta di cui portava la bandiera. Petaloblu in avamposto seguito da Setanormale e Setaultra e alle loro spalle Ideasottileripiegato pronto a scattare all’occorrenza. Ancora una volta un’amazzone al comando. Perla era il suo nome, brillante e tagliente come un diamante.

Questa squadra mise in serie difficoltà il principe guerriero avviluppandolo con le sue ali di seta, costringendolo a indietreggiare, a riposizionarsi e prepararsi a colpire con la sua spada sguainata sferrando fendenti in alto ed in basso. Avanzava e indietreggiava ma non riusciva a piazzare il colpo decisivo. Era con il fiato grosso, le vene ingrossate e i muscoli tesi per lo sforzo ma non ne veniva a capo. Tentò diversi attacchi, sembrava possibile aprire un varco e sfondare ma la difesa era ben organizzata. Perla difendeva e contrattacava. La squadra reggeva. Il principe perdeva energie e perdeva anche la speranza di arrivare al cuore della roccaforte. Se anche avesse superato questa difesa ben altra e più agguerrita lo aspettava. Una difesa specializzata in guerre batteriologiche, dotata di armi chimiche, comandata dal gigante Vagisillo il cui nome, da solo, metteva paura. No, il principe ebbe il timore che non ce l’avrebbe fatta e cominciò a darsi pensiero di desistere pur continuando ancora a combattere ma senza tanta convinzione. Intuiva che la difesa della roccaforte non finiva con il gigante Vagisillo. Intuito da vero guerriero, da vero principe. Infatti l’ultimo baluardo della roccaforte era Cilli. Annidato nel suo intimo, con la forza dell’invisibiltà avrebbe dato filo da torcere a qualunque assalitore, fosse esso un principe, fosse esso un guerriero.

E così il principe decise di abbandonare l’impresa. La forza, l’abilità, le arti della guerra nulla potevano. Si pentì di non aver portato con sé Protocollo, forse l’avrebbe aiutato, avrebbe trovato il modo di aprire le porte della roccaforte usando maniere diverse. Mise a tacere le sue armi, ringuainò la spada, scese dal suo destriero e si inchinò di fronte a quella strenua resistenza. Aveva combattuto con tutte le sue forze e il suo ardimento e la sua determinazione non passarono inosservati. La bella fanciulla ne rimase colpita e affascinata e dall’alto della sua roccaforte fece sentire la sua dolce voce: Principe mio principe segui Protocollo e conquisterai la roccaforte………”

Giovanni smise di raccontare. Sembrava volesse prendere fiato e poi riprendere a raccontare invece rimase silenzioso.

Carmelo: Allura, Giovanni, comu finìu?

Giovanni: Finìu chi mi rrussigghjai e non sacciu manch’eu comu jhiu a finiri. Puntu.

Carmelo: Però, Giuvanni, a prossima vota chi ti nsonni canginci nomu e’ surdati.

 frape  15/09/09