"FUSSATOTI RITORNATE VIRTUALMENTE ALLE VOSTRE ORIGINI"

 

 

PIERINO E  IL MIRACOLO

Racconto paesano tra il vero ed il verosimile

Il suo vero nome non era Pierino, ma per il rispetto della privacy lo chiamiamo così, tanto di Pierini nel nostro Paese ce ne sono tanti- che è molto difficile identificarlo.

Egli era nato in una casa isolata, di una borgata isolata, in una frazione isolata di un Comune dell’estremo Sud di Eurolandia. Viveva in una famiglia allargata, come si dice oggi: la vecchia nonna, i genitori, una sorella sposata da poco, il marito della sorella, ed una altra sorella quasi in età da marito. Pierino era il più piccolo, il cosiddetto “cacanidolo”. Tutta la famiglia non se la passava tanto bene economicamente. Il padre ed il cognato di Pierino lavoravano alla giornata, quando capitava, e dove capitava. A volte era sempre notte, perché di giornate non capitavano. La mamma si occupava delle faccende di casa e dintorni, nella vicina campagna, nell’orto, qualche volta aiutata dalla figlia sposata e dalla “schetta”.

La fonte principale del sostentamento era costituita dalle pensione della nonna. Pensione integrata al minimo, con l’aggiunta di qualche euro in più dalla reversibilità del nonno deceduto. Le condizioni, quindi, non erano molto rosee, bisognava stare molto attenti alle spese ed accontentarsi di quello che passava il “RE”.

Pierino frequentava la terza elementare, e per raggiungere la piazzola dove si fermava lo Scuolabus, doveva attraversare l’aia davanti casa e scendere lungo i tornantini della stretta viuzza fatta a “nsilicata”, con lo zainetto a spalla chi gli ballonzolava ogni qualvolta saltava i gradini che incontrava lungo la stradina, prima di giungere alla strada principale, anch’essa a “nsilicata”, e percorrere un par di centinaia di metri, per arrivare allo slargo dove lo scuolabus faceva manovra per tornare indietro e portarli a scuola.

L’autista del mezzo aveva abituato  gli scolari a tenersi pronti, e quando arrivava all’ultimo tornante della carrozzabile lanciava un fischio di sirena e loro partivano dalle abitazioni per essere puntuali all’appuntamento. Ma Pierino arrivava sempre in ritardo e il motivo era molto semplice: mentre i suoi compagnucci avevo le biciclettine, alcuni ancora con le rotelline perché  non avevano molta dimestichezza con l’equilibrio, lui doveva scendere a piedi e impiegava più tempo, oppure doveva svegliarsi prima e partire di buonora. Le biciclettine erano ancora di quelle con un solo freno, alla ruota posteriore, e la catena con lo scatto fisso, per cui i bambini dovevano sempre pedalare. Avevano imparato ad usare bene i pedali, essi infatti servivano anche da freno nelle ripide discese, rallentando la pedalata, evitando di consumare in poco tempo le piccole ganasce di gomma della ruota. Smaliziati, avevano anche capito come aumentare la velocità, una volta raggiunta la strada larga. Bastava che sollevassero i piedi dai pedali e il velocipede, senza freno motore, saltellando sulla massicciata sembrava volare. I saltellamenti erano dovuti alle ruote piene, senza camera d’aria, così si evitavano le forature. Il problema sorgeva quando dovevano riprendere il controllo dei pedali, che, abbandonati a se stessi, giravano vorticosamente. Molto spesso gli scolari tornavano a casa con le caviglie sbucciate e sanguinanti, ma non si lamentavano. Avere un proprio mezzo di locomozione era un soddisfazione troppo grande e non si lamentavano neanche per il fatto che al ritorno verso le loro case dovevano portarle a spinta su per le salite gradinate. Nelle ore di scuola tra l’andata e il ritorno dello scuolabus la biciclette restavano incustodite nella piazzola, ma nessuno si sognava di toccarle, le cose dei bambini erano sacre. Ogni giorno si ripeteva la stessa scena. Vedere questi piccoli uomini, partire dalle case sparse della contrada e convergere verso la strada principale era un spettacolo, pur con qualche capitombolo, quando, magari, qualcuno affrontava qualche curva o saltava qualche gradino in modo avventato. Loro erano felici. Pierino però non lo era. Soffriva in cuor suo di non aver anche lui il suo piccolo mezzo, e più volte aveva fatto richiesta alla mamma di compraglielo; anche di seconda mano andava bene lo stesso. La mamma sentiva una spina pungerle il cuore, quando ascoltava il suo figliolo, ben sapendo di non potersi permettere di accontentarlo. Ma non disperava. Capitò che un parente di città venne a fare visita alla famiglia di Pierino. Era un altro nipote della nonna che vivendo in città aveva aperto gli occhi, imparando molte cose. Egli aveva anche un buon appezzamento di terreno nelle vicinanze, non sfruttato, ma sfruttabile, se non altro, per mettere qualche giornata all’ufficio di Collocamento alla cugina maritata, che, nel caso di eventuale maternità poteva usufruire di un congruo premio che la Previdenza Sociale riconosceva alle neomamme che erano registrate per il lavoro in agricoltura. E la registrò in un impeto di affetto per questi parenti che vivevano isolati in quella isolata contrada. Ovviamente dovevano pagare i contributi, quando arrivavano. Tutti d’accordo.

Pierino, a cui l’intelligenza non mancava, aveva afferrato il senso di tutti quei discorsi, ed in cuor suo si mise a pregare la Madonna della Montagna, affinché aiutasse la sorella a “comprare “ un bambino; anzi, di nascosto, scrisse una lettera proprio alla Madonna, senza dire niente a nessuno. In un momento della ricreazione andò alla Posta a comprare il francobollo e spedirla. Dovette alzarsi in punta di piedi per farsi vedere dall’impiegato. Avuto il francobollo, lo leccò e lo appiccicò alla busta, facendolo aderire, strofinandolo con la piccola mano e poi facendosi aiutare da un passante la imbucò, imbucando con essa tutte le sue speranze, non tralasciando nel contempo le sue preghiere serali.

Il tempo passava, la scuola stava per finire ed ognuno si preparava a godersi le vacanze. I bambini riposero le loro biciclette nelle barracche dietro le case, all’ombra, per preservarle dalle calure estive, ogni tanto controllando che tutto era a posto. Durante l’estate sciamavamo per le campagne a caccia di lucertole, che catturavano col “chiacco”, fatto con il lungo filo d’erba del “cannice” o di altra erba che non mancava di crescere nella zona. Giocavano a fare i cacciatori di coccodrilli, si divertivamo quanto più potevano e poi lasciavano libere quelle povere bestiole. Altre volte, accompagnati da qualche adulto, si azzardavano a raggiungere il mare, a prendere confidenza con l’acqua, fare qualche tuffo da dentro in fuori, abbrustolirsi al sole e tornare poi a casa lamentandosi, con le loro mamme, del bruciore che avevano in tutto il corpo a causa delle scottature. Colpa vostra, dicevano le mamme, perché non vi siete messi all’ombra delle “landrare” !

L’estate, per loro, passò tra un gioco e l’altro, non avendo ancora l’età né il fisico per aiutare nella campagne e negli orti.

Venne ottobre e la scuola ricominciò, questa volte in quarta, essendo stati tutti promossi. Erano tutti allegri e vogliosi di ricominciare. Solo Pierino era imbronciato, ma non diceva il perché, almeno non a parole. Ma lo mise per iscritto quando la maestra propose loro di scrivere un tema sul come avevano trascorso le vacanze. E Pierino scrisse delle sue esperienze, non tralasciando gli episodi della sua famiglia, partendo, nel ricordo, dal mese di gennaio, del cugino venuto dalla città, della sorella scritta al Collocamento, del bambino che doveva comprare, della sue preghiere alla Madonna della Montagna ed anche della lettera che Le aveva scritto, speranzoso nei soldi che dovevano arrivare dalla Previdenza Sociale per la sorella maritata che gli aveva promesso la  bicicletta. Però la maestra gli leggeva negli occhi la delusione e l’infelicità. In un momento della ricreazione lo chiamò in disparte per cercare di consolarlo e di sapere il perché della sua infelicità, ed egli parlò: Signora maestra io avevo tanta fiducia nelle mie preghiere e nella lettera che avevo scritto alla Madonna, ma non è successo come speravo, forse la lettera non è mai arrivata o forse la Madonna si è cunfunduta. Il miracolo l’ha fatto, solo che il bambino non lo ha comprato mia sorella, la maritata, ma l’ha comprato mia sorella, la schetta e così i soldi della Previdenza Sociale non arrivano perché lei non era scritta al Collocamento, ed io rimango a piedi, senza bicicletta.

 P.S.: Può capitare in tutte le migliori famiglie, povero Pierino! 

Francesco Pellicanò