"FUSSATOTI RITORNATE VIRTUALMENTE ALLE VOSTRE ORIGINI"

 






 

PAGINA 3 CAMPAGNA D'AFRICA E II^ GUERRA MONDIALE

Nella sequenza fotografica seguente si vedono giovani soldati in divisa grigioverde

Soldati che fecero parte della spedizione in Libia e combatterono la II^ Guerra Mondiale

La vita militare di Paolo Tripodi

Giuseppe Pellicanò

Paolo Tripodi

Antonino Pellicanò

Paolo Pellicanò

Calabrò Noè

 Soldato Frank Zampaglione

Paolo Pellicanò dal 1918 al 1936

Carmelo Pellicanò dal 1929 al 1936

Pietro Pellicanò

  LA SECONDA GUERRA MONDIALE

La Seconda Guerra mondiale durò dal 1939 al 1945 e fu il secondo grande conflitto del XX secolo. Vi furono coinvolti quasi tutti i Paesi del mondo e vide duri scontri anche al di fuori dell'Europa.  La guerra iniziò il 1° settembre 1939 con l'attacco alla Polonia da parte della Germania nazista, che già aveva stretto patti con l'Italia e con il Giappone, e si era annessa l'Austria e la Cecoslovacchia. Ai tre Paesi si opposero, conquistando la vittoria finale, le truppe di Inghilterra, Francia, Russia, Stati Uniti e altri Paesi Alleati. Decisivo fu l'impiego da parte degli Stati Uniti della prima bomba atomica, sganciata il 6 agosto 1945 sulla città giapponese di Hiroshima. In seguito al conflitto la Germania fu divisa in due parti, la Repubblica Federale, sotto la sfera d'influenza dei paesi occidentali, e la Repubblica Democratica, sotto quella dell'Unione Sovietica. I morti complessivi furono quasi 50 milioni, di cui quasi 10 sterminati nei campi di concentramento nazisti.

L'incognita  tedesca
C'era una grande incognita in Europa: la Russia Sovietica. Le diplomazie di Francia e In-ghilterra cercarono, sia pure tra dubbi ed incertezze, dettate dalle vecchie idee anti-comuniste, di attrarre la Russia in una coalizione anti-tedesca; dal canto suo la Germania cercò di stipulare con fredda real-politik un patto di non aggressione con la Russia. L'U.R.S.S. aderì alle offerte precise della Germania. Il patto di non aggressione firmato tra la Germania e l'U.R.S.S. il 23 agosto 1939, che contemplava la spartizione della Polonia, diede a Hitler la possibilità di scatenare la guerra che non solo avrebbe risolto secondo le sue aspettative il problema di Danzica, ma avrebbe portato all'occupazione di buona parte della Polonia in tempi brevi, così da avere poi solo il fronte occidentale cui dedicarsi.

La guerra
Il 1° settembre 1939 iniziò l'invasione del territorio polacco da parte delle armate tedesche che passarono di vittoria in vittoria, specie in considerazione del fatto che l'armamento dei due eserciti era di un tale divario da non consentire ai polacchi che una disperata eroica resistenza. Varsavia venne occupata dai tedeschi il 9 settembre; il 17 anche la Russia entrò in guerra contro la Polonia e tre giorni dopo si ebbe il congiungimento delle truppe russo-tedesche. Il 6 ottobre la Polonia cessava di esistere come nazione ed il popolo polacco avrebbe dovuto attendere la fine della guerra per veder ricostituito il proprio stato, affrontando sei anni di tremende sofferenze. La rapida vittoria all'est e la situazione all'ovest, dove si combatteva una non guerra tra le armate tedesche della linea Sigfrido e quelle franco-inglesi della linea Maginot, permise a Hitler di proporre la pace agli inglesi e ai francesi, pace che venne respinta. La stasi sul fronte (drole de guerre) e la ricusazione dell'offerta di pace permise a Hitler di affrontare e risolvere la questione norvegese (dalla Norvegia la Germania si riforniva di materiali strategici e gli anglo-francesi cercarono di impedirlo con la posa di mine nelle acque territoriali norvegesi). La Germania invase la Danimarca e la Norvegia ottenne ancora una volta una schiacciante rapida vittoria. Si giunse così al 10 maggio 1940, quando scattò sul fronte occidentale il grande attacco tedesco che secondo i piani del generale Von Manstein doveva portare all'annientamento delle truppe anglo-francesi. In 5 giorni fu occupata l'Olanda, poi il Belgio; quindi i tedeschi sfondarono il fronte alleato a Sedan dilagando sino alla Manica e accerchiando il resto degli eserciti alleati. In questo frangente venne da parte inglese attuata l'operazione di salvataggio delle truppe alleate circondate a Dunkerque (dal 26 maggio al 4 giugno 1939 furono portati, con ogni mezzo, al di là della Manica, 330.000 uomini).

Entrata in guerra dell'Italia (10 Giugno 1940)
Ormai per la Francia era la fine: il 10 giugno anche l'Italia entrò in guerra a fianco della Germania; il 14 giugno i tedeschi occuparono Parigi; il 22 giugno la Francia firmò l'armistizio. Ora contro il nazismo ed il fascismo (che, va ricordato, il 1 novembre 1936 avevano stipulato l'asse Roma-Berlino e che il 22 maggio 1939 avevano firmato il patto d'acciaio tra le due potenze) si ergeva solo l'Inghilterra. In Inghilterra era subentrato alla presidenza del consiglio un uomo che avrebbe influenzato con la propria grande personalità tutto il resto del conflitto: Winston Churchil. L'Inghilterra subì dall'agosto all'ottobre una tremenda serie di bombardamenti aerei da parte della Luftwaffe. La battaglia di Inghilterra fu affrontata con grande decisione dagli inglesi, una decisione tale da sconsigliare Hitler a tentare uno sbarco sull'isola. La caccia inglese inflisse perdite assai pesanti all'attaccante tedesco. Per quanto riguarda l'Italia va subito detto che le nostre forze armate, assolutamente impreparate a una guerra moderna, si trovarono disperse su vari fronti: prima quello contro la Francia, poi quello in Libia e quindi quello in Africa orientale. Non solo c'è da rilevare come il nostro stato maggiore pensasse più ad una guerra difensiva che non offensiva, così che ci si trovò a perdere l'impero che era totalmente isolato dalla madre patria, a subire una serie di rovesci in Libia, a non saper risolvere il problema di Malta, munita roccaforte inglese nel mezzo del Mediterraneo.

La guerra in Grecia
Infine ci si impelagò in avventure che si rivelarono assai dannose sia sul piano puramente militare che su quello del prestigio internazionale. Il 25 ottobre 1940 Mussolini decise di attaccare la Grecia partendo dall'Albania, con la convinzione di ottenere una facile vittoria (quasi a compensare in qualche modo i successi tedeschi). Ma l'esercito greco non solo resistette validamente ma occupò addirittura il territorio albanese. Così fu necessario l'inter-vento tedesco attraverso la Jugoslavia e direttamente in Grecia per togliere dai guai l'alleato e per potere affrontare senza preoccupazioni su altri fronti il problema russo. Non va dimenticato che, malgrado il patto di non aggressione esistente tra la Russia e la Germania, l'occupazione di territori all'est era pur sempre per Hitler il modo di dare spazio alla Germania nelle terre orientali.

La guerra in Russia
Infatti Hitler aveva già programmato l'operazione Barbarossa che avrebbe dovuto significare l'annientamento dell'esercito sovietico. Così si arrivò alla completa occupazione della Jugoslavia e della Grecia dove, con la fine di aprile 1941, ogni resistenza ufficiale veniva a cessare. Con il 22 giugno 1941 la Germania attaccò la Russia ed anche in questa campagna si assistette ad un susseguirsi di successi dei tedeschi che all'inizio dell'inverno si trovarono sotto le mura di Mosca. Centinaia di migliaia di soldati russi vennero fatti prigionieri o annientati e sembrò che nulla potesse fermare le armate naziste. Ma non fu così: l'inverno russo e una maggiore resistenza offerta dai combattimenti sovietici fecero fallire i piani di Hitler alla fine del 1941.

Pearl Harbour (Dicembre 1941)
Va considerato che un altro fatto accaduto a migliaia di chilometri di distanza doveva influire in modo decisivo sugli sviluppi della guerra. Il 7 dicembre 1941 il Giappone attaccò di sorpresa la flotta americana nella base di Pearl Harbour coinvolgendo direttamente gli Stati Uniti, con il loro immenso potenziale industriale, nel conflitto, segnando quindi decisamente una svolta nella conduzione e nello sviluppo della guerra. Anche nel Pacifico, come in Europa per la Germania, l'inizio della guerra segnò una serie di successi giapponesi i quali occuparono la Thailandia, la Malesia giungendo ad occupare la grande base inglese di Singapore il 15 febbraio 1942. I giapponesi occuparono Hong-Kong, le Filippine, la Nuova Guinea, il Borneo, Sumatra per quanto interessava il teatro del Pacifico.

Le vittorie giapponesi
Nella terra ferma si ebbe l'occupazione della Birmania. Alla fine di luglio del 1942 l'esercito giapponese aveva conquistato territori per otto milioni di chilometri quadrati raggiungendo obiettivi che sembravano impossibili. I giapponesi occupavano Hong-Kong, le Filippine, l'Indocina, Singapore e parte dell'arcipelago melanesiano, giungendo fino ai confini dell'India e penetrando nell'interno della Cina. Con questa nazione il Giappone era in guerra già da molti anni, nel tentativo di distruggere le forze nazionaliste cinesi di Ciang-kai-Sheck e quelle comuniste di Mao-tse-Tung. Ma questo non significava la scon-fitta degli Stati Uniti che anzi cominciarono a far sentire il peso della loro potenza proprio durante la battaglia del mar dei Coralli e durante la battaglia di Midway (maggio-giugno 1942) battaglia quest'ultima che invertì la tendenza nel Pacifico, sino a che con il mese di agosto ebbe inizio la controffensiva americana.


 

La situazione italiana
La guerra era davvero mondiale e nella vastità del conflitto il settore italiano sembrava di importanza minore, ma questa valutazione strategica non era certamente valida per i soldati italiani combattenti in Africa settentrionale, in Russia e contro la guerriglia jugoslava; né tanto meno per la popolazione civile che in molte città viveva l'esperienza tragica dei bombardamenti aerei diurni e notturni. L'Etiopia era perduta, in Grecia ed in Africa settentrionale anche avevano dovuto chiedere l'aiuto dei tedeschi (in Libia si era avuto l'intervento dell'Afrikakorps direttamente comandato dal generale Rommel). La nostra flotta, priva del radar, non poteva competere con quella inglese che ormai era padrona del Mediteraneo. Invece di affrontare in modo adeguato i problemi relativi al nostro settore Mussolini inviò una armata (ARMIR) in terra di Russia con conseguenze disastrose data la mancanza di mezzi per una guerra di movimento e di attrezzature per poter superare il gelido inverno russo. Durante tutta la condotta della guerra si può affermare che mentre il coraggio del soldato italiano e il suo spirito di sacrificio risultarono certo non inferiori a quelli degli altri combattenti, fece chiaramente spicco l'insipienza dei comandanti, l'impreparazione generale, il pressappochismo di una classe politica e militare che ineluttabilmente avrebbe portato alla sconfitta. Se poniamo la fine del 1942 come l'inizio del rovesciamento delle sorti della guerra lo facciamo perché con la fine dell'anno vediamo su tutti i fronti una generale inversione di tendenza. Abbiamo detto che con la fine dell'estate 1942 nel Pacifico inizia la controffensiva americana, vediamo ora che in Africa settentrionale a novembre si ha non solo la controffensiva inglese a El Alamein ma si ha lo sbarco americano in Marocco e in Algeria quasi una prova generale di quell'attacco alla fortezza tedesca nell'Europa continentale, una prova di quel secondo fronte richiesto dai russi per poter vedere diminuita la pressione germanica contro di loro. Le truppe italo-tedesche di stanza in territorio africano si arresero il 13 maggio 1943, ora gli anglo-americani si preparavano ad attaccare direttamente l'Europa.

Una grande vittoria russa: Stalingrado!
Mentre questi fatti accadevano nel bacino del Mediterraneo, il fronte russo segnava una serie di successi sovietici tra cui decisamente il più importante, sia sul piano militare che su quello politico, fu la vittoria di Stalingrado. L'armata tedesca di von Paulus aveva raggiunto la grande città sul Volga il 10 agosto 1942, dal novembre al febbraio resistette all'attacco russo ma il 2 febbraio i resti di quella che era stata la sesta armata tedesca dovettero arrendersi ai russi. Da Stalingrado l'armata rossa sarebbe giunta a Berlino nel 1945 sempre mantenendo l'iniziativa. Per quanto interessa l'Italia il 1943 fu un anno di gravi avvenimenti: la perdita dell'Africa nel maggio, lo sbarco in Sicilia il 10 luglio, il bombardamento di Roma il 19 luglio, il voto del gran consiglio nella notte tra il 24-25 luglio contro Mussolini, l'arresto di quest'ultimo a Villa Savoia dopo un ultimo colloquio con il re, la nomina a capo del governo del maresciallo Badoglio, la dichiarazione dell'armistizio dell'8 settembre, la fuga del re e dei generali da Pescara a Brindisi, il ritorno sulla scena politica di Mussolini liberato il 12 settembre dai tedeschi, l'inizio di tragici mesi di guerra partigiana e di enormi distruzioni causate dalla guerra che eserciti stranieri combattevano sul nostro territorio.

La guerra in Italia
La figura del re, del principe ereditario, di Badoglio e di tutta una casta politica e militare ampiamente compromessa con il fascismo e che, nell'assoluta incuria per centinaia di migliaia di soldati italiani abbandonati sui vari fronti di guerra e nei territori occupati, nel completo disinteresse per la nazione e, solo con lo scopo di salvaguardare le proprie vite, avevano gettato l'Italia nel caos, non escono bene da questa serie di episodi. Ma in ultima analisi quella era stata la classe politico militare che aveva portato al fascismo, che aveva condotto la nazione in guerra nel massimo dell'impreparazione e che chiudeva in modo non degno la propria parentesi storica. In Italia i tedeschi attuarono una prima linea di resisten-za sulla cosiddetta linea Gustav (Garigliano, Cassino e Sangro) e da questa linea gli Alleati non riuscirono a passare se non nel maggio 1944 raggiungendo Roma il 4 giugno. Si arrivò così ad una nuova linea di resistenza tedesca che si stendeva lungo l'Appennino toscoemi-liano da sopra Livorno per Bologna sino alle paludi di Comacchio. Qui si dovette attendere l'aprile del 1945 per completare la liberazione d'Italia. Negli anni tragici dell'occupazione nazista e del governo repubblicano fascista di Salò, l'Italia seppe esprimere per mezzo della lotta partigiana il senso della propria dignità e giustificare il diritto a quel riscatto politico che le competeva. La resistenza, dopo l'armistizio si trasformò in una lotta aperta contro l'esercito tedesco, passato alla posizione di esercito occupante. Dopo le prime rivolte popolari avvenute a Roma e a Napoli, (le quattro giornate di Napoli), si costituirono in Piemonte, nel Veneto, in Emilia e in Liguria le prime organizzazioni partigiane. Dopo la dichiarazione di guerra alla Germania da parte dell'Italia (13 ottobre 1943) e il riconoscimento della cobelligeranza italiana da parte degli anglo-americani, il Comitato di Liberazione Nazionale dell'Alta Italia assumeva la guida della lotta partigiana al nord contrapponendosi anche sul piano legale allo pseudo governo fascista.

I partigiani
Nonostante le numerose difficoltà e i dissensi politici sorti in senso al Comitato, le forze partigiane trovarono nelle Marche e nella Toscana grandi centri di azione. Nel maggio del '44 le formazioni partigiane settentrionali si organizzarono come esercito regolare e costituirono il Comando del corpo volontario della libertà. Nell'estate del '44 affrontarono alcune battaglie tra cui la più importante fu quella di Monte Fiorino, mentre il tentativo di liberare Siena e Firenze provocò le più feroci reazioni da parte dei tedeschi in tutta la Toscana. Le lotte si spostarono nel nord oltre la cosiddetta linea Gotica e qui i partigiani si affiancarono in modo determinante all'esercito alleato. Si arrivò così al 25 aprile 1945 quando l'avanzata alleata e l'insurrezione partigiana portarono alla completa liberazione d'Italia e segnarono la fine di Mussolini fucilato a Giulino di Mezzegra sul lago di Como il 28 aprile.

La Resistenza italiana
La Resistenza italiana nacque subito dopo l'8 settembre del 1943. Fu la spontanea, multiforme reazione della grande maggioranza del popolo italiano alla ventennale dittatura fascista, all'alleanza con la Germania nazista e all'andamento disastroso della guerra. Alla Resistenza partecipò una moltitudine, spinta dell'impeto naturale di salvarsi dalla prigionia tedesca, ma anche da una fervida aspirazione di liberazione, ed una minoranza che ebbe il coraggio di prendere le armi e d'iniziare la guerriglia contro i loro alleati, i fascisti della Repubblica di Salò. Il Movimento di liberazione annoverò nelle sue file migliaia d'italiani, uomini e donne, operai, contadini, professionisti e sacerdoti. Questo esercito di anonimi si prodigò in mille modi, spesso a rischio della propria vita, per dare aiuto, rifugio, cibo e vestiario ai perseguitati e ai ricercati dai nazisti, ai gruppi di sabotatori che agivano nelle città occu-pate, agli organizzatori del fronte sindacale che operavano nelle fabbriche, ai partigiani che impegnarono, per venti mesi, in una logorante guerriglia, 13 divisioni tedesche e fasciste.

"GAP" e "SAP"
La Resistenza italiana nacque il giorno stesso in cui il governo Badoglio proclamò l'armistizio fra l'Italia e le potenze alleate. Non ci furono tempi vuoti di mezzo; ed è questo fatto che viene a confermare, in sede storica, l'esistenza per tutto il ventennio, di una sorda ribellione alla dittatura fascista e d'un mai sopito sentimento naturale alla libertà. Le bande armate operarono in montagna ed in pianura. I Gap (Gruppi d'azione patriottica) e le Sap (Squadre d'azione partigiana) agirono per lo più nei centri abitati, grandi e piccoli, con attentati alle istituzioni del nemico e con azioni di sabotaggio. Quindi Gap, Sap e bande di partigiani costituirono l'esercito combattente della Resistenza. La maggioranza di queste formazioni erano legate ai vari C.L.N. (Comitati di Liberazione Nazionale), organi squisitamente politici; i dati relativi alle organizzazioni politiche a cui facevano capo le forze di Resistenza (Partito Comunista, Partito d'Azione, Partito Socialista, Democrazia Cristiana ecc.) non sono certi, in quanto i dati forniti dalle loro associazioni o dai partiti politici, non concordano con dati in possesso del Ministero della Difesa, così anche il numero dei caduti, dei feriti e dei dispersi. Comunque un'analisi comparativa consente di affermare che i combattenti della Resistenza Italiana furono circa 270.000.

13 divisioni bloccate
L'esercito tedesco, nonostante l'alta efficienza delle sue unità, la ferrea disciplina e la presenza delle forze speciali, quali le «SS», accusò fin dai primi mesi i colpi ricevuti dalle bande di partigiani. Infatti importanti contingenti di truppa (13 divisioni) non poterono essere utilizzate al fronte, dove combattevano le truppe regolari, perché indispensabili all'interno per fronteggiare le formazioni partigiane che minavano continuamente la sicurezza dei rifornimenti, ed i gruppi armati e gli organizzatori clandestini della città, che ostacolavano seriamente la produzione bellica. I partigiani si erano procurati le armi prelevandole dai depositi dell'esercito italiano. Ma si trattava di fucili e di poche altre armi leggere che non potevano reggere il confronto con quelle dei nazisti. C'era poi il problema delle muni-zioni. A queste deficienze sopperirono in seguito gli Alleati, in particolare con le forniture di armi, munizioni, denaro ed ufficiali di collegamento ai partigiani del settentrione. Solo nel corso degli ultimi quattro mesi di guerra, gennaio-aprile 1945, la Special Force organizzò 865 lanci di materiale da guerra ai partigiani del nord. Due terzi di tali lanci riuscirono, cioè 551 per complessive 1200 tonnellate e precisamente 650 tonnellate di armi e mu-nizioni, 300 tonnellate di esplosivo e 250 tonnellate di altri materiali. Anche in riferimento a questi aiuti l'efficacia della Resistenza armata fu maggiore nel nord d'Italia. In proposito si possono distinguere due zone separate approssimativamente da una linea che va dalla foce del Cecina, in Toscana, ad Ancona, nelle Marche. A nord, includendo non solo l'Italia settentrionale, ma anche la valle dell'Arno e parte delle Marche, la resistenza raggiunse quell'alto livello di organizzazione e di efficienza che ne giustificò la definizione di «Stato libero in territorio occupato». A sud della linea Cecina-Ancona, nelle diciassette province, che all'epoca dell'occupazione tedesca gravitavano intorno a Roma, la Resistenza più che un movimento organico fu la somma di un gran numero di attività e d'iniziative popolari, quali ad esempio l'insurrezione di Napoli ed i vari attentati contro i tedeschi e fascisti. Per 19 mesi consecutivi le forze della Resistenza attaccarono il nemico ovunque questi si tro-vava, creando zone libere in diverse province e precedendo le armi degli Alleati nella libe-razione di città e centri minori. Nell'aprile del 1945 il C.L.N.A.I. (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) mobilitò l'intero schieramento della Resistenza in appoggio all'ulti-ma grande offensiva alleata in Italia. Le forze tedesche e fasciste in ripiegamento vennero impegnate dai partigiani, mentre le grandi città del nord insorgevano ad una ad una. Agli aspri combattimenti nell'ultimo tratto dell'Appennino ed in Liguria fecero eco le insurrezioni del 23-26 aprile a Genova, Torino e Milano; del 27 a Padova; del 28 a Venezia; del 30 a Treviso, Belluno e Trieste; del primo maggio a Udine e negli altri centri posti sulla via della ritirata nemica.

Il contributo della Resistenza
Per 19 mesi consecutivi le forze della Resistenza attaccarono il nemico ovunque questi si trovava, creando zone libere in diverse province e precedendo le armate degli Alleati nella liberazione di città e centri minori. Il contributo di sacrificio e di sangue della Resistenza italiana fu elevatissimo: 45.000 partigiani caddero in combattimento, 23.000 furono torturati e trucidati dai nazisti e dai fascisti dopo essere stati arrestati in campagna o nelle città; oltre 20.000 furono i feriti; 19.000 civili, uomini, donne e bambini vennero passati per le armi. Ed ancora bisogna aggiungere gli 8.000 politici ed i 30.000 e più militari che non fecero ritorno dai campi di prigionia della Germania. Le perdite umane degli Alleati, nell'intera campagna d'Italia, furono inferiori a quelle della Resistenza.

La Resistenza europea
L'ultimo conflitto mondiale fu caratterizzato dal fenomeno della Resistenza. La macchina bellica tedesca che aveva polverizzato l'esercito polacco e quello francese, quello belga, olandese, danese, norvegese, jugoslavo e greco e che aveva respinto l'Armata Rossa fino alle porte di Mosca, occupando quasi tutto il territorio della Russia europea, fu tuttavia costretta, prima o poi, ad affrontare ovunque importanti gruppi di resistenti armati, pronti ad una guerra fino all'ultimo sangue. Alla Resistenza partecipò una moltitudine spinta del-l'impeto naturale di salvarsi dalla prigionia e dalla tirannide tedesca, ma anche da una fer-vida aspirazione alla libertà, ed una minoranza che ebbe il coraggio di prendere le armi e di iniziare la guerriglia contro i Tedeschi che occuparono la propria nazione.

Movimento antinazista
Questo vastissimo movimento antinazista nacque dalla brutale politica instaurata dagli occupanti e, forse, dalla disperazione stessa. La coscienza, l'organizzazione e la speranza della vittoria finale vennero in seguito. Pertanto, inizialmente, i gruppi di partigiani europei non avevano alcun collegamento, nemmeno nel proprio paese. Il primo centro propulsore dei primi nuclei organizzati dalla resistenza europea fu Londra, ove il S.O.E. (Secret Operations Executive) cercò di raccogliere e di potenziare l'attività di quadri militari legit-timisti della Cecoslacchia, della Polonia, dell'Olanda, del Belgio e della Francia, operando, però, in modo da mantenerli rigorosamente entro i vecchi limiti dello spionaggio e del sabotaggio, e mirando soprattutto a creare alle spalle del nemico una schiera di esperti nella lotta clandestina, non prevedendo una più larga partecipazione popolare. A fianco del S.O.E. e sotto il suo controllo, agì il servizio informativo gollista, il B.C.R.A. (Bureau Central de Renseignements et d'Actions).

Reazioni popolari
Un primo mutamento qualitativo nella struttura della Resistenza si verificò in occasione dell'invasione della Grecia e della Jugoslavia dove la reazione popolare fu vasta ed immediata ed il clima generale diventò subito incandescente. Contemporaneamente, all'altro capo dell'Europa, si sviluppò lo stesso fenomeno: in Olanda nacque il movimento dei «Gueux» (i pezzenti) che trasse il nome dai fautori della feroce rivolta dei Paesi Bassi sotto la dominazione spagnola, nel XVI secolo. In Belgio, il Borgomastro di Bruxelles fornì uno dei primi e più clamorosi esempi di disobbedienza civile agli ordini dei tedeschi. Costretto a dimettersi egli fece affiggere un proclama pubblico in cui dichiarava: «Io sono, io resto e resterò il solo Borgomastro legittimo di Bruxelles. Calma, coraggio e fiducia. Restate uniti, la vostra unione farà la forza».

I campi di sterminio
Nell'Unione Sovietica i primi sintomi di sviluppo della Resistenza coincisero con la più radicale svolta del regime nazista. Al principio del 1941, infatti, dopo il fallimento della battaglia di Londra, nella prospettiva di una guerra che si sarebbe protratta oltre i limiti previsti, Hitler aveva deciso di dare la soluzione finale « al problema ebraico », la «Endlösung», cioè lo sterminio totale degli undici milioni di ebrei che vivevano in Europa. Prima campi di sperimentazione furono la Polonia e l'Unione Sovietica dove già si trova-vano i commandos speciali, gli «Einsatzgruppen», con il compito di provvedere all'elimi-nazione degli ebrei e dei comunisti, a man mano che la Wehrmacht occupava i territori. I dati forniti da Reitlingher illustrano l'applicazione data all'ordine di Hitler: 30.000 fucilati a Kiev, dagli 80 ai 120.000 a Riga e altre decine di migliaia a Korno, a Minsk e Pinsk nella Russia Bianca, a Leopoli, a Vinnitza, a Kharkov ed a Dniepropetrowsk in Ucraina; altri ancora a Rostov. Complessivamente oltre un milione di ebrei e di comunisti vennero fucilati o impiccati nei territori dell'Unione Sovietica. Evidentemente quella politica di sterminio fu una leva potente che spinse decine di migliaia di uomini e di donne sovietici, con le armi in pugno, nelle grandi foreste e nelle immense pianure. Uomini e donne decisi a ven-dicare le vittime innocenti ed a combattere fino all'ultimo il nemico. Anche il governo del paese reagì alle prime notizie dello sterminio inserendo la Resistenza nel quadro delle isti-tuzioni statali. Il 18 luglio 1941, dopo i primi massacri della popolazione civile, il Comi-tato Centrale del Partito Comunista Sovietico prese la decisione di organizzare la lotta die-tro le file nemiche e ne diede il compito al Comando dell'esercito. La decisione prevedeva la « creazione di una situazione insostenibile per l'Armata tedesca mediante la disorganiz-zazione dei suoi collegamenti, delle sue linee di comunicazione e degli stessi distaccamenti militari, aiutando in ogni modo distaccamenti partigiani a cavallo o a fanteria.».

Varsavia l'eroica
In Polonia, a Varsavia, in pochi giorni vennero eliminati 350.000 ebrei, dei 450.000 rinchiusi nel ghetto dai nazisti fin dal primo giorno dell'occupazione. Di fronte a tali massacri anche in Polonia la Resistenza, rappresentata inizialmente dall'organizzazione clandestina «Armia Krajowa» (Esercito Nazionale), alla quale si aggiunse al principio del 1942 il movimento partigiano di sinistra «Gwardia Ludowa» (Guardia Popolare), aumentò le file dei combattenti. Non si trattava più di una scelta politica, ma della scelta fondamentale fra la fede nell'umanità e nella negazione della condizione umana. Il 20 ottobre 1941, a Kraguievac in Bosnia, i tedeschi massacrarono tutta la popolazione maschile dai 16 ai 60 anni: 2.300 persone. In precedenza erano stati deportati in Germania 300.000 soldati jugoslavi. La risposta dei popoli fu sempre la medesima: i movimenti partigiani di Tito e del generale monarchico Mihailovic si rafforzarono e la guerriglia venne intensificata. Così avvenne in Grecia, dove nel settembre del 1941 venne costituito l'E.A.M. (Fronte Nazionale di liberazione) in cui confluirono le organizzazioni politiche di sinistra e di centro. In dicembre l'E.L.A.S. (l'Organizzazione Armata dell'E.A.M.) operava contro i nazisti con una forza di 20-25.000 partigiani. La Resistenza in Francia iniziò nell'estate del 1941 con i primi attentati contro ufficiali nazisti e francesi collaborazionisti.

I partigiani in Francia
Nel 1942 entrarono in azione le prime formazioni di «maquis». Il movimento si estese e le azioni di sabotaggio si moltiplicarono con il moltiplicarsi delle rappresaglie dei tedeschi: 20.000 ebrei francesi vennero deportati dal territorio occupato dai germanici, altri 15.000, rifugiatisi nella zona libera, seguirono la stessa sorte, dopo che il governo di Vichy li ebbe consegnati ai tedeschi. La medesima situazione si verificò in Cecoslovacchia. Alla sop-pressione del governatore nazista Heydrich da parte di partigiani cechi, l'occupatore rispose con il massacro di Lidice, dove 184 uomini e 7 donne vennero fucilati sul posto. Tutta la popolazione fu deportata nei campi di concentramento, compresi i bambini, e la cittadina venne bruciata e rasa al suolo. Per rappresaglia vennero uccisi anche 1.800 ebrei di Praga e 1.800 detenuti politici. Ma le forze della Resistenza cecoslovacca non disarmarono. In tutta Europa agirono circa un milione e mezzo di combattenti della Resistenza; un altro milione condusse la guerriglia nei territori dell'Unione Sovietica invasa. Sul piano militare il comando tedesco fu costretto ad impiegare nei fronti interni ben più di due milioni e mezzo di soldati, il che contribuì enormemente ad indebolire la prima linea riducendo le possibilità d'attacco e di difesa.

La fine della guerra
Va detto che dal '44 il fronte italiano era diventato del tutto secondario nella strategia alleata dato che il 6 giugno gli anglo-americani avevano effettuato (con una operazione aeronavale colossale) lo sbarco in Normandia aprendo così quel secondo fronte che avrebbe segnato la fine della Germania nazista. L'esercito germanico stretto tra i russi ad est e gli Alleati ad ovest dovette abbandonare i territori occupati e si trovò a combattere in Germania in un folle tentativo di vana resistenza. I russi e gli Alleati si congiunsero in Austria, i russi arrivarono a Berlino il 23 aprile e qui si concluse la resistenza tedesca che dopo il suicidio di Hitler (30 aprile) non poteva avere più senso. In Europa il conflitto era terminato; in Asia e nel Pacifico la disfatta giapponese si stava chiaramente delineando ma quello che decise il Giappone a chiedere la resa incondizionata fu l'uso da parte americana prima su Hiroshima e poi su Nagasaki, di due bombe nucleari, ordigni di distruzione e di morte che venivano impiegati per la prima volta nella storia dell'umanità e che posero termine al secondo conflitto mondiale. La data per la storia è il 2 settembre 1945.

Dalla guerra "calda" alla guerra "fredda".
La storia del dopoguerra, cioè di quel periodo che inizia con la fine della II guerra mondiale sino ad oggi, è caratterizzata da due fatti essenziali: primo la "guerra fredda" fra Occidente ed Oriente, a cui fa seguito la distensione; secondo, la decolonizzazione, cioè la fine degli imperi coloniali e il sorgere di nazioni indipendenti, talune del tutto nuove. Il mondo si risvegliava dal terribile incubo della seconda guerra mondiale che aveva causato circa 50 milioni di morti, immense distruzioni, esaurimento e crollo economico di molti paesi soprattutto europei. Il conflitto si era concluso in Europa praticamente il 2 maggio 1945, con la caduta in mano sovietica di Berlino. All'ammiraglio Doenitz, successore di Hitler, suicidandosi il 30 aprile, non restò che firmare la resa incondizionata l'8 maggio 1945. Il Giappone, che invece dimostrava ancora una forza notevole in soldati (2 milioni) e in mezzi (9.000 aerei e una flotta potente), fu costretto alla resa da un nuovo, sconosciuto, micidiale ordigno: la bomba atomica. La distruzione di Hiroshima (6 agosto) e di Nagasaki (9 agosto 1945) costrinsero il mikado (l'imperatore) ad accettare la resa incondizionata (2 settembre 1945). La tremenda carneficina iniziata il 1° settembre 1939 era terminata.

                                                                                                          

 

 

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