"FUSSATOTI RITORNATE VIRTUALMENTE ALLE VOSTRE ORIGINI"

 

 

DIZIONARIO FOSSATESE  LETTERA "T"

  • Tabbarru: cappellaccio, vecchio copricapo, coperta, cappotto, mantello militare. Potrebbe derivar dall'arabo tab''ar che significa, appunto, coperta.

  • Tabbirnaculu: tabernacolo, altarino, luogo sacro.

  • ndavi nu tabbirnaculu: (triviale) rivolto ad una donna con un abbondante davanti e che facilmente si concede.

  • Tacca: segno, incisione. Particolare quella segnata sulla "canna metrica" che indicava il cm. o il dm. Di origine gotica, takka segno.

  • Tacchijari: (dal greco tachyno, accelero): camminare celermente, allontanarsi velocemente potrebbe essere una contrazione alterazione di "alzare i tacchi".

  • Taccia: chiodo per le scarpe, non molto lungo e con la testa molto grossa ed arrotondata .Dal francese tach , bulletta.

  • Taccijari: mettere i chiodi alle scarpe. I chiodi venivano disposti su tutta la suola ed il tacco vicinissimi; i chiodi metallici si consumavano con l'uso lasciando in buone condizioni le suole allora di cuoio duro. E' venuto l'uso di un modo di dire: fattu da stessa taccera: fatto allo stesso modo, sopra la stessa incudine, dello stesso acciaio.

  • Taddarita: pipistrello; uccello notturno. Potrebbe derivar dal greco nykterida o likterida: gufo, civetta, uccello notturno, o dall'arabo tayr allayl, uccello notturno. Si diceva di donna dedita a particolare mestiere...che sapeva volar, di notte, da uno all'altro..... si diceva che i pipistrelli fossero forieri di notizie cattive e quindi morte....si diceva che il morso dei pipistrelli introduce "il diavolo" nel sangue....si diceva che...proprio a causa delle loro abitudini notturne fossero anche depositari di particolari scienze, tant'è che non molti vecchietti usavano catturar qualcuno e...tenerselo buono, buono...fino a morte...dell'animaletto...che è un mammifero atto al volo!

        Tafanariu: Organo genitale femminile.

  • Tafanu: insetto molesto le cui punture sono molto dolorose; scontroso, maldestro, noioso. -Tafanariu: l'ano ; gli organi sessuali femminili .- Tafaredda: canestro. Oggetto contenitore. Alcuni usavano questo termine per indicare a crisara, crisaredda .Vedi

  • Taffità: taffetà, tipo di stoffa.

  • Tagghiola: sorta di trappola artigianale, costruita con legno e molle di acciaio, per la caccia a volpi, lepri, conigli selvatici etc.. Veniva sistemata, nelle ore serali, nei luoghi di probabile pas-saggio della selvaggina, preparata con adeguata esca, sistemata in una fossetta, scavata tra la folta vegetazione del sottobosco. Significa anche: cappio, trabocchetto.

  • Esti na tagghiola: persona disposta a ordire congiure, trabocchetti, spesso ottenendone lo scopo.

  • Tagghiuni: taglione, taglia... legge del taglione

  • A Musulinu nci misiru u tagghiuni: Giuseppe Musolino di S.Stefano d'Aspromonte, bandito, al quale si attribuivano diversi misfatti, ha vissuto a lungo tra le asperità dell'Aspromonte, spesso protetto dalla gente perché lo riteneva "bandito d'onore" in quanto il suo agire sembrava mosso da riflessioni sulle angherie che il popolo subiva e, probabilmente, qualcuno degli omicidi attribuitigli era stato preparato per vendicare un sopruso ...legalizzato. A questo bandito, infatti, tenute presenti le enormi difficoltà di penetrazione nei boschi (foreste, allora!) dell'Aspromonte, lo Stato aveva applicato, proprio, la legge del taglione: chiunque desse notizia alle autorità riceveva una ricompensa. La solidarietà (non ancora omertà!) non ha consentito il suo arresto per moltissimi anni. Sembra che la revisione di alcuni processi a suo carico, " post mortem" abbia trovato motivi di illeciti e di soprusi.... legalizzati.

  • Taju (plur. taji): si dice anche tja, fango, fanghiglia; terreno melmoso. Potrebbe esser ricondotto all'omonima voce francese, tai, fango o alla contrazione dei termini latini tabis area, tutto ciò che è fanghiglia.

  • Tallaritta lla ti tumba: intercalari del discorso. Per il loro suono ed il ritmo venivano usati frequentemente come ...musica per piccoli balletti...di piccoli...piccolini e non.

    Ricordo: Si dice (riferito dai nonni) che una certa persona camminasse ballando (naturalmente si tratta sempre di tarantella) o che avesse talmente il senso del ritmo da trasmetterlo in ogni azione e da subire l'influsso sia della musica, suonata che di quella cantata; questa persona viveva e "tirava avanti" la sua famigliola (aveva figli, non si sapeva ...da chi) prestando la sua opera con dei piccoli "servizi", regolarmente pagati spesso con generi alimentari. E' stata comandata di andare a cercare acqua alla fonte con tre bumbula, uno da portare in testa e due, molto comodamente a forza degli avambracci, sotto le ascelle. Ma alcuni ragazzetti le hanno ordito una grave congiura: l'hanno attesa sulla strada del ritorno in una strettoia e là, mentre aspettavano hanno cominciato a ballar la tarantella, proprio con la musica, cantata, di tallaritta lla ti tumba; la malcapitata, già appesantita per il carico e, certamente un po' stanca, trovandosi, come si dice ndo ballu ha cominciato a ballare allargando le braccia e piegando il capo a mo' di inchino ed addio acqua ed orcioli! Se n'è accorta, subito, però, e pare che abbia inseguito e per lunghi anni anche perseguitato, i maldestri giovinastri organizzatori della danza.

  • Talornu: piagnisteo ripetitivo; racconto di tutte le avventure mediche, soprattutto; seccatura, fastidio.

  • Cantari u talornu: (ma anche ciangiri u talornu). Esistevano delle donne che avevano la capacità di ...far finta di piangere , compromettendo emotivamente gli astanti. Queste persone , le prefiche, (la prefica era una figura greca: un'ancella che veniva messa a capo di chi doveva accudire al morto nell'attesa della sepoltura) generalmente pagate per piangere e lodare un morto con lamentazioni talvolta ritmate che rammentavano soltanto le opere e/o i momenti migliori di chi se n'è andato. Non era rara l'inventiva personale. Le donne capaci di far ciò, normalmente avanti negli anni, per essere state testimoni della vita di chi...andava, entravano nell'ambiente dov'era sistemato il catafalco con gli occhi umidi (i ragazzini sapevamo che inumidivano gli occhi con la saliva, proprio un attimo prima di entrare) già intessendo le lodi e manifestando rammarico e meraviglia per l'accaduto. La famiglia del morto, poi, secondo l'effetto, si faceva presente con qualche regalino...

  • Tamarru: (dall'arabo tàmmar, mercante di datteri): zotico, volgare, stupidotto, contadino.

  • Tambureddu: tamburello; strumento musicale costituito da un cerchio di legno con sopra stesa una pelle non conciata, (ben utilizzate pelli di gatto) nel cerchio sono inserite delle medagliette di varia forma, di latta; queste medagliette si chiamano Ciancianeddi (vedi Voce).

  • Tamburu: tamburo, strumento musicale costituito da un gran cerchio in metallo e due pelli tese sulle superfici circolari. Sia tamburu che tambureddu hanno il significato di qualcosa di gonfio, di doppio, con due superfici piatte e/o rigonfie.

  • Ti fazzu a facci comu nu tamburu: ti gonfio la faccia di schiaffi.

  • Ndai l'occhi comu nu tambureddu: hai gli occhi gonfi.

  • I mobili su fatti i' tamburatu: i mobili moderni anziché di legno massiccio son costruiti con materiale tamburato: due facce lisce e nel mezzo vuoto.

  • Tambutu: bara, cassa da morto. Spesso si evitava di indicarlo con il vero termine usando un giro di parole: l'urtimu vistitu oppure i cazzi (zeta dolce) stirati l'ultimo vestito, i pantaloni stirati: tesi, dritti, rigidi; oppure ancora: u cappottu i lignu, il cappotto di legno....e, di conseguenza l'ebanista/falegname che costruiva casse da morto, veniva chiamato u sartu di morti: il sarto dei morti; oppure u sartu i cu' si ndi vai: il sarto di chi se ne va (ultimo viaggio!). Dall'arabo tabuut

  • Tanfu: cattivo odor, tanfo. Si diceva anche Tampa, tamfa.

  • Tangò: lardo irrancidito e, soprattutto, il fetore che ne deriva. Il lardo e i grassi se non salati adeguatamente o non conservati con attenzione, invecchiando assumono un colore giallastro ed irrancidiscono producendo particolari odori, poco graditi.

  • Puzza i tangò: puzza di lardo rancido. Si diceva anche in senso molto, molto allegorico per indicare persone o gruppi familiari che proprio non possedevano lardo. Erano poveri in canna e non potevano nemmeno fare...puzza di ciò che c'è e va in malora perché non si utilizza.

  • Tangu: tango; ballo di origine latino-americana. Molte persone, di ritorno dalle loro permanenze all'estero, ne importavano un modo di danzare : figurato, strisciato, stretto ..... In ogni modo, poiché tale danza comportava muoversi a ritmo stando veramente molto stretti, quasi attaccati, incollati....molte nonne o mamme imponevano alle loro figliole di non ballare questo ballu du diavulu (la tentazione sessuale conseguente allo star molto stretti e per un certo periodo). Altri lo chiamavano ballu stricapanza ballo che permetteva o pretendeva che stomaco, pancia, petto si toccassero si stringessero, si strofinassero...eccessivo, stravagante, peccaminoso!

  • Tappa: tipo di stoffa grezza e pesante per pantaloni da lavoro. Tappa, momento di temporanea sosta di un lungo cammino; termine temporaneo di attesa; momento di pausa.

  • Cazzi (zeta dolce) i tappa: soprannome attribuito a persona dal carattere rude e spigoloso.

  • Tarantula: ragno, tarantola.

  • Si mpettica comu na tarantula: si arrampica come un ragno.

  • U pigghiau a tarantula: ha il "ballo di S. Vito";

  • Tarantulia: cammina ondeggiando; ubriaco; termine faceto per indicare chi trema per il gran freddo.

  • Tarlatà: tipo di stoffa, pesante ed a trame molto larghe.

  • Tartaru: tartaro, sporcizia, untume; più specificamente s'intende il tartaro della cannella della pipa che, spesso era utilizzato, raccolto su uno stecchino ed immesso nei molari bucati, contro l'atroce mal di denti. Riferito a persona indicava qualcosa di molto sporco, lurido, non presentabile. Si può attestare che contro il mal di denti faceva effetto....e, per l'igiene?, non è morto nessuno a causa d'infezioni provocate dall'operazione.

  • Tastari: tastare, valutare, pesare, toccare.

  • Tastiari: toccare; valutare dopo aver toccato con mano.

  • Non nti prioccupari, ti tastiu eu; non farti problemi, ti valuto io.

  • Tastu: tasto di strumento musicale; spessore di un oggetto; senso del tatto.

  • Ora sugnu vecchiu e non aiu cchiu u tastu: ora sono invecchiato e non ho più sensibilità tattile.

  • Tattu: tatto, sensibilità, attenzione (mai come senso del tatto!)

  • Dincillu cu 'mpoch'i tattu: diglielo con un po' di tatto, di gentilezza.

  • Tavarca: (dall'arabo tabaca, spalliera di ferro del letto) spalliera, capezzale....mobile in genere, in legno, ferro o plastica che contiene il letto: materasso, rete....

  • Tavirnaru: taverniere, oste, venditore di vino. Responsabile delle scorte alimentari. Assumeva, dunque, il significato: spregiativo e di responsabilità.

  • Tavula: tavola, asse di legno di qualsiasi forma e dimensione. Si da per scontato che debba avere uno spessore minimo di circa cm.2,5 e, questo spessore si chiama: cozzu i tavula.

  • 'Ncozzu i tavula luntanu du me' muru: a distanza dal mio muro perimetrale di circa cm.2,5.

  • Tavulata: una gran tavolata d'amici, parenti; colpo ricevuto con un asse di legno. - Tavulatu: impiantito di assi di legno; sinonim. di zaccanu (vedi)

  • Tavuledda: una tavoletta...una cosa piccola, di consistenza relativa; incapace di sopportar peso; un pezzo di tavola .

  • Nd'avi tavuli e tavuleddi: tavole e tavolette uomini capaci, robusti (d'animo) e vigliacchi, incapaci, inetti.

  • Tavulinu: tavolo, non tanto piccolo, ma abbellito con tovagliato d'occasione e prodotto di materiale pregiato.

  • Tavuluni: tavolone, grossa tavola di larghezza e lunghezza variabile e di spessore di 5/7 cm. e di almeno due mt. di lunghezza. Riferito a persona indica: carattere forte, linearità, stile di vita pulito, robustezza fisica.

  • Tazza: recipiente di terracotta che si usava soprattutto per la zuppa di latte: di forma emisferica con un rialzo alla base per tener l'equilibrio, della capacità di circa 1/2 lt., generalmente senza alcun manico. Quindi: impugnarla per bere il liquido contenuto, significava inserire le dita anulare e mignolo sotto l’orlo della base ed il pollice sull’orlo superiore...spingendovelo, talvolta - almeno i bambini - a toccare il contenuto. Serve anche per indicare una certa quantità di liquido o di sostanze farinose.

  • Ndavi na cristallera (vedi) china i tazzi: ha una cristalliera (vetrinetta), piena di tazze; ha tante stoviglie, appartiene ad un ceto elevato, e, lo fa notare.

  • Tazza ca manica: tazza con il manico, di capacità inferiore alla tazza: per caffellatte, te, orzo,

  • I so' tazzi su ttutti ca manica: cioè moderno, aggiornato, tant'è vero che possiede anche le tazze per il te.

  • Na tazzina i cafè: tutta la poesia.... di una tazzina di caffè.

  • Si ‘mbivi ndi na tazzina: il tale ha una personalità talmente limpida che.. Infatti la tazzina, il caffè erano un sogno per il popolino, potevano averli solo i possidenti, cioè la parte alta della società, che si riteneva, la parte pulita per cui - ricchezza del linguaggio! - poteva esser bevuto in una tazzina chi aveva dei modi nobili, gentili.

  • Tazzata: quantità contenuta in una tazza. Termine di "politesse" per indicare errore grossolano: cazzata.

  • Tegula: tegola, oggetto di terracotta necessario per la copertura di case.

  • Mi cadiu na tegula nda testa: m'è arrivata una tegola in testa; m'è arrivata un'improvvisa (buona, o cattiva) notizia.

  • Teniru: (anche tenniru) tenero; delicato, ancora acerbo, giovane.

  • Terragnu: ci si riferisce ad un cantinato con almeno due, spesso tre, muri interrati; di solito umido ed anche flautolente di muffa; praticamente un magazzino al piano terra o seminterrato da cui il nome.

  • Terrazzana: venticello, brezza di terra delle prime ore serali.

  • Testa i ferru: testa di ferro; s'indicavano le fontane pubbliche, di solito eseguite in ferro fuso con la parte alta a forma di testa.

    Nel periodo fascista s'indicava, per antonomasia, Mussolini. Va precisato che la quasi totalità della gente contadina non sopportava il "regime", tanto meno gli atteggiamenti arroganti dei pochi piccoli gerarchi locali; era, spesso costretta, però, a aderire al P.N.F., prendendo la tessera (£.5), per poter conservare il lavoro, consentire ai figli di accedere alla carriera scolastica, e non raramente, per imposizione, mafioseggiante, da parte dei maggiorenti del Paese, ai quali, in maniera sommessa, si attribuiva il soprannome.

  • Tic, tac: presto presto; all'istante. Onomatopeico per il rumor dei tacchi sull'impiantito (o marciapiedi), per questo è diventato l'attributo sostanziale per indicare una sgualdrina, una che batte i marciapiedi.

  • Ndi jucamu quattru bbuttuni a tic tac?: giochiamo con i bottoni a tic tac?

    Il gioco consisteva nel segnar un linea per terra e ad alcuni passi di distanza una "zona franca" quindi lanciar dei bottoni - spesso tirati dalla camicia, giacca, cappotto - e, cominciando dal più lontano dar dei colpetti con il dito indice, dopo averlo fatto scattare sul pollice in maniera da avvicinarli o far raggiungere la linea...di proprietà . Il gioco stabiliva regole ed accoppiamenti prima dell'inizio.

  • Tigna: tigna, assoluta, o, relativa mancanza di capelli dovuta a precoce senilità o anche a fatti patologici: testa liscia, glabra, rapata. Erano veramente pochi gli uomini con la tigna: il prete, un bravo sarto, un vecchio avvocato per cui si pensava che la tigna appartenesse ad uomini dotti, intelligenti e saggi. Ma poteva anche esser provocata da qualche malattia. Si diceva che le persone che erano state infette da alcune malattie intestinali o viscerali, in seguito a medicamenti, perdessero, forse temporaneamente, tutti i capelli. Per gli uomini manco male, ma le donne erano costrette da necessità igieniche a portar, anche d'estate, un pesante foulard in testa per non perdere la femminilità, mostrando la testa glabra.

  • Omini ca' tigna: era, infatti, l'espressione che indicava saggezza, onestà.

  • Tignari: fregare, rubare, fottere.

  • A ttia ti tigninu 'gni minutu: ti fregano ogni minuto.

  • 'Na vota mi ponnu tignari.... ma poi iapru l'occhi: una volta possono fregarmi ma poi apro gli occhi, sto più attento.

  • A Rriggiu mi tignaru a machina: a Reggio mi hanno rubato l'auto.

  • A cchidda sa' tigna: a quella se la. Il verbo potrebbe derivar dal sostantivo tigna: tigna, testa rapata.

  • Tignusu: uomo senza capelli. Non significava affatto saggio, in relazione all'età, era, anzi da evitare perché la tigna, pare fosse provocata da un acaro, quindi infettiva ed infestante. Il tignoso era facilmente riconoscibile, quindi si poteva evitare. Ma tignusu si diceva anche di una persona molto intelligente, attenta...e, talvolta, furba, avara, maligna.

  • Tignuseddu non jri pi lligna chi t'affrunta Petru Castagna e, si t'affrunta, ti rrumpi la tigna: (cantilena-scioglilingua che si canticchiava all'indirizzo di un ragazzino, appena "tosato" spesso per ragioni igieniche) ragazzino non andar in campagna in cerca di legna - tutto da solo - potrebbe incontrarti Pietro Castagna - che, si suppone, sia il proprietario della campagna e, se t'incontra te le da di santa ragione ti spacca la testa rapata.

  • Tijanu: tegame, di rame, di terracotta, d'alluminio... ora "Aeternum". Il termine veniva spesso usato, in maniera giocosa: eu non parru ndo tijanu: io non parlo italiano, giocando sulla similitudine del suono: talianu (italiano) - tijanu (tegame).

  • Ndi dda casa parrinu ndo tijanu: in quella famiglia si parla italiano, ma attenzione, si parla, un linguaggio, si usano dei modi che non sono nostri, sembrano stranieri; quella gente non ha la nostra mentalità, non ci capisce e, noi non comprendiamo il suo linguaggio.

  • Timogna: bica. Il raccolto di un appezzamento di terreno trasportato in prossimità dell'aia, e sistemato in mucchio di forma tronco-conica, con la spighe verso l'interno e coperto per protezione dall'eventuale pioggia e dagli uccelli. (vedi voce pani). Dal greco themonia: mucchio.

  • Quant'a na timogna: grande quanto un bica; un'iperbole per indicare cosa immensa.

  • St'annu ficimu quattru timogni: quest'anno abbiamo dovuto fare quattro biche: si prevede un ottimo raccolto.... ma significa che ....noi stiamo abbastanza bene, abbiamo del pane per noi e da vendere.

  • Nciu ficimu a quattru timogni: abbiamo vinto.... gliel'abbiamo fatto, gli abbiamo rotto il culo.

  • Timpa: (dal greco tempéa, precipizio o dal latino timpa) burrone; zona di terreno scosceso, talvolta a strapiombo, provocata, naturalmente dallo scorrere delle acque piovane e/o da cedimenti del terreno per varie cause. Spesso, questa sorta di muro naturale, costituito da sola terra, costituisce vero e proprio argine o confine; sostituisce il muro o il muro a secco. Indica, poi, una località facilmente individuabile, spesso riportata in mappa. Precipizio notevole.

    Vi sono delle contrade indicate p. es. timpi russi, timpi gialli. Riferito a persona indica: uomo di gran possanza fisica e forza morale superiore.

  • Timpagnu: una delle due basi della botte; sportello. (se si può dir così) della botte. In quello anteriore esistevano dei fori, di solito due o tre, tappati con legnetti, per la mescita del vino.Vedi vinu. Dal latino tympanum, timpano .

  • Si fici nu timpagnu i bbutti: ha bevuto un bel po' .

  • Timpulata - timpuluni: manrovescio, schiaffo di grande effetto.

  • Tina: recipiente di grandi capacità (circa 800/1.000 litri), di forma cilindrica con una sola base chiusa, normalmente in lamiera di zinco. Riferito a persona indica: uomo dedito al bere, dal ventre enorme e in grado di sopportare grandi bevute.

  • Tineddu: recipiente di doghe di legno di varie forme e dimensioni; normalmente tronco/conica, con la base larga chiusa (timpagnu), eventuale coperchio asportabile ed alcune doghe prolungate ad uso di piedi.

  • Tineddu pa' liva salata: recipiente per conservare le olive in salamoia: contiene circa 50 kg. Spesso si voleva indicare la quantità contenuta nel recipiente.

  • Tineddu i trappitu: tinozza da frantoio (vedi voce trappitu) di forma tronco/conica , della capienza di circa 200 kg., serve per raccogliere l'olio appena uscito dal torchio e per farvelo decantare; munito di una particolare doga detta trumba: una doga molto grossa che aveva due canali di circa 2 cm. longitudinali e due fori trasversali nella parte bassa, ciascuno dei quali raggiungeva soltanto uno dei canali. Il congegno consentiva all'acqua ed alle morche, più pesanti, occupanti quindi la parte bassa del recipiente, di passare attraverso un canale e defluire dalla parte alta, principio dei vasi comunicanti.

  • Tiniri: tenere, trattenere, fermare, calmare, prendere.

  • A crapa (a vacca), non tinni: la capra (la vacca), che è stata portata alla stazione di monta non è rimasta gravida, non è stata fecondata, o, in ogni modo l'accoppiamento non ha avuto buon esito.

  • Téniti!: richiamo d'attenzione, a mo' di sfottò, a chi si atteggia un po' troppo.

  • Tinitivi forti: agganciatevi bene; mantenete bene il vostro equilibrio.

  • Tintu: cattivo, malvagio, disonesto; colorato (da tingere). Dal latino, tingere, immergere in acqua . llenta : Tira e molla. Esitante

  • Tirabusciò: (dal francese tire-buochon, cavatappi) cavatappi, arnese necessario per sturare bottiglie, tappate sia con sugheri sia con corone metalliche: moderno sistema.

  • Tirallenta: tira e molla, esitante.

  • Tirituppiti: era il rumore di qualcosa che cade e rottola rompendosi. Qualcosa che si rompe o che comincia un'attività. Ma era anche un intercalare del discorso come per dire: ad un certo punto, ed ecco che.

  • Tirituppiti e nno nsi jsau cchiù: è caduto e non si è più rialzato, se n'è andato per sempre .

  • Tirniti: (o, ternit) eternit, fogli di carta triturata ed impastata con cemento, di poco spessore e molto leggeri, per la copertura delle case: di varie dimensioni, di solito 1 mt. per 2,10.

  • Titta: uno qualsiasi, senza nome di famiglia, senza appartenenza.

  • Eu non sugnu nu titta: non sono uno qualsiasi: ho un nome; esigo rispetto e ne dò.

  • Tizzuni: tizzone; legno un po’ bruciato. Si dice di persona che ha poco garbo; asociale. -Tizzuni: tizzone, pezzo di legno acceso fiammante ed ancora fumante, non del tutto ridotto a brace. Riferito a persona indica: uomo rude, crudele, volgare....

  • Toccu: fare a sorte, far la conta.

  • Chi mmi ti pigghia toccu: malevola imprecazione, talvolta, però, affettuosa: che ti venga un accidente.

  • Tonica: tonaca, vestito dei preti e delle monache.

  • Tonica non fà monica: abito non fa monaco....

  • Topparedda: ovulo; escrescenza legnosa alla base del fusto degli ulivi. Gli ovuli, opportunamente tagliati, venivano messi in vivaio, per alcuni anni, per la produzione di giovani piante, poiché producevano subito giovani germogli e radicicole. Un albero secolare e robusto né ..produceva.. qualche centinaio di queste escrescenze; una buona parte venivano regalate a parenti ed amici (era buona occasione per disobbligarsi con il medico, farmacista, dittereo) ed altre, dopo la distribuzione, messe a dimora anche le giovani piantine d'olivo, dopo qualche anno, erano oggetto di scambio di cortesie.

  • Comu na topparedda: persona molto grossa, quasi a palla, rispetto all'altezza, di solito un po' tonta.

  • Torcituri: asse di legno di varie forme e dimensioni secondo gli usi; per es. u torcituri pu frenu: era un bastone di circa 80 cm (anche l'operaio si chiamava così); u torcituri pa corda: era una tavoletta con due, tre o quattro fori secondo il tipo di corda che si voleva realizzare. Il termine assumeva facilmente il significato di oggetto atto a far rigar dritto (l'attuale manganello della P.S., all'origine era esattamente un bastone di legno) o anche di fonte di un diritto.

  • Nci misinu u torcituri: gli hanno messo (alle costole) qualcuno che lo fa rigare.

  • Quattru bbotti i torcituri: quattro colpi di bastone...

  • Toru: toro; maschio utilizzato per la riproduzione. Esistevano delle stazioni di monta autorizzate le quali venivano avviate le vacche già pronte, (an caddu: in calore). Particolari a attrezzature e personale pratico consentivano l'operazione. I titolari delle suddette stazioni se ne facevano un gran vanto dei loro... tori! Riferito a persona indica: uomo di indiscusse capacità sessuali, ma anche di insaziabile appetito e di grande versatilità e volontà di lavoro.

  • Tozzulu: (anche tozzilu): incomodo, occasione, incitamento.

  • Dari tozzulu: dar corda, dare occasione, incentivare; incomodare, incitare.

  • Trabbuccari: traboccare, sovrabbondare, essere generosi e magnanimi.

  • Tracandali: uomo di grande statura, rozzo, trasandato, stupido; nulla facente, svogliato.

  • Tracina: (o antracina, ntracina) sorta di ascesso della pelle dolorosissimo. Di solito era necessaria una piccola incisione chirurgica per la guarigione. Solitamente compariva sotto le ascelle, sulle cosce e avambracci probabilmente dovuto a piccole involontarie ferite infette o ad infezioni da virus. Dalla forma greca andrakion, antrace, tumore.

  • Traforu: tunnel, galleria, traforo.

    Ricordo: Da piccolino sentivo parlare di traforu che, per antonomasia, indicava il piccolo tunnel ferroviario tra Saline e Reggio; chi ne parlava, come se avesse vissuto un'esperienza...simile a quelle di un attuale astronauta,...aveva preso il treno, era andato in Città, aveva una certe cultura, qualcosa da insegnare agli altri, aveva insomma... girato il mondo, uscendo dal piccolo guscio del paese....fino agli anni 50 senza vie di comunicazione verso la civiltà, senza rifornimenti idrici a domicilio, senza ...Enel.

  • Trainu: traino. Speciale congegno per il trasporto di cose molto pesanti e voluminose. Due assi di legno molto lunghe (almeno 4/5 mt.), legati in cima ed allargati alla base, in modo da formare un lungo triangolo isoscele, agganciati al giogo di un buon paio di buoi (da traino) e, alla base collegati da assi di legno, sui quali venivano sistemati i pesi da trasportare.

  • Traggiru: raggiro; congiura.

  • Traggiraturi: chi ordisce una congiura; chi provoca raggiri... spesso pesanti e importanti.

  • Trama: trama di fili orizzontali rispetto a chi tesse (vedi voce tularu).Congiura contro..

  • Mi ficinu na trama: me ne hanno ordito una...

  • Linzolu i trama i casa: lenzuolo tessuto in casa con trama e ordito prodotti sul posto. Casalinga, buona massaia, pulita d'animo, generosa.

  • Trampa: tranello, frode, inganno. Nel parlar corrente assumeva il significato di gradino, passaggio, epoca. (vedi età). Dal catalano, trampa, inganno.

  • Tramperi: imbroglione, scroccone.

  • Tramuntana: tramontana; tempo atmosferico e vento di ponente.

  • Non mmi faciti perdiri a tramuntana: non mi fate perde le staffe.

  • Tramurdiri: svenire, perdere i sensi.

  • Tramurdutu: svenuto; lento di riflessi; handicappato.

  • Trancia: attrezzo del carpentiere: sorta di grossa cesoia, montata su tavole di spessore, peso proporzionati, che consentiva di tagliare il tondino di ferro per le costruzioni. Negli ultimi tempi adattando l'analogo termine francese (tranche: fetta, spicchio), il termine viene usato, appunto per indicare: fetta, parte, spicchio.

  • Trantuliari: tremare, aver freddo, paura , rabbrividire. Dal greco moderno trantazo, tremo.

  • Trapula: trappola in tutti i sensi, ma soprattutto quella artigianale per la cattura di animali selvatici dannosi o selvaggina da cacciagione.

  • Trappitaru: operaio che lavora nel trappitu (vedi voce) frantoio per la produzione dell'olio. Normalmente persona sempre unta d'olio e dai panni molto sporchi.

  • Trappitu: frantoio per molire le olive e produrre l'olio. Di solito in campagna o in periferia.

    Il termine deriva dal verbo latino frangere: rompere, spezzare. E' citato più volte nell'A.T.: Libro dei Giudici 6-12 e 7-25, con il significato di nicchia nella roccia, in cui si poteva battere il grano, in piccole quantità. E' un'indicazione di strettezza, paura.

    “LA BIBBIA”, Edizioni Paoline, 1983, pagg. 311-312.

    Fabbricato: costruzione in muratura di almeno 15 x 8 mt, con copertura in tegole di terracotta (ciaramiti), spesso a quattro spioventi: un'ampia porta d'ingresso e finestre in numero adeguato ubicate in rapporto alla disposizione dei macchinari, i quali erano sistemati su tre piani.

    a) schedda grande vasca circolare, con un asse centrale verticale al quale erano collegate almeno due (normalmente tre) grosse pietre (molazze i petra palumbina): cilindriche, con altezza molto breve rispetto al raggio, di pietra molto dura; una pietra che si trovava facilmente nella zona; il fondo della vasca ed il bordo di circonferenza, abbastanza alto, della stessa pietra a grossi pezzi appaiati. All'asse centrale, definito omu mortu, era collegato un lungo e robusto palo di legno, orizzontale, che superava la circonferenza di qualche metro portando verso la parte terminale la giogaia; il pavimento attorno in terra battuta. In un angolo abbozzata una mangiatoia.

    b) Furneddu: fornello; tutt'uno con una grossa caldaia di rame, rivestita di materiale refrattario, per far bollire l'acqua.

    b1): torchio: due grosse travi di metallo, infisse abbondantemente nel terreno, e murate a cemento, sovrastate da un architrave dello stesso materiale, piatto e con un adeguato foro centrale per il passaggio della vite, la quale nella parte terminale, bassa, costituiva un tutt'uno con una piattaforma in grosse tavole, rinforzate, con piastra metallica, appoggiate a scorrimento, sulle travi laterali. Per terra una vasca in cemento, talvolta in lamiera metallica con bordi rialzati a piatto (u piattu), di circa un mt. di diam. con opportuno foro per il passaggio del liquido di premitura. Nella parte bassa la vite era un tutt'uno, o saldata , con un congegno atto all'alloggiamento delle travi necessarie per la premitura.Questo congegno era costituito da una specie di testa metallica vuota e girevole con delle imboccature: quattro in tutto, due e due in corrispondenza ed a coppia di diversa dimensione atte ad alloggiare le leve (vedi maniedda) necessarie per avvitare e quindi premere sulle sporte contenenti la pasta d'olive già molita.

    b2): (eventuale, ma quasi tutti i frantoi n'erano muniti) naspa: sorta d'aspa costituita da una grossa trave verticale con asse centrale in metallo, dal pavimento ad apposita intelaiatura in legname molto resistente. Spesso i terminali di quest'asse erano provvisti di cuscinetti a sfera. Ad altezza di spalla d'uomo, un asse orizzontale a croce rispetto al fusto.

    b3): manijedda (oppure soltanto manjedda, travu ) ve n'erano alcune di diversa dimensione, ma con la stessa funzione: delle travi in legno di fusto di castagno che venivano infisse in apposito alloggiamento alla base della vite e trascinate e spinte dall'altra parte ottenendo così l'avvitamento e la premitura. Un dentino in ferro salterello (sartareddu) con una parte adatta a scivolare consentiva il movimento d'andata a spinta o trascinamento con sforzo relativo al momento della lavorazione ed il ritorno a vuoto senza alcuno sforzo. Veniva usata una leva corta, da un solo o al massimo due uomini, all'inizio della premitura, man mano però che la vite scendeva aumentava lo sforzo quindi era necessaria una leva più lunga o la naspa, in quei frantoi che n'erano provvisti ed una forza di spinta di due, tre, quattro, cinque e finanche sei uomini di buona stazza.

    c ): Tineddu, grande tinozza in legno per la raccolta dell'olio e... la separazione della morche. Su un piano ancora più basso e al di fuori del corpo di fabbrica: i gurni vasche per la raccolta ed ulteriore sedimentazione dell'olio.

    Materiali ed attrezzi occorrenti: una grossa gomena; diverse leve metalliche varie per forma e dimensioni; conzu i sporti (almeno alcuni). Sporti: sorta di ceste in lamine di legno intrecciate sghembe, orizzontali e verticali, in modo da costituire un recipiente simile alla nassa dei pescatori, con un grosso foro centrale verso l'alto; consu*: quantità necessaria per una torchiata. A addetta (almeno due): sorta di piccolissima tinozza in doghe di legno, con una più lunga, come manico, della capacità di circa 7 lt. per il trasporto dell'acqua bollente dalla caldaia al torchio.

    Quantità adeguata di bbumbuluni e/o utri (recipienti di latta e/o otri di pelle), per il trasporto dell'olio. * Si scrive anche " konzu". E poi: micagnu (recipiente di latta con manico della capacità di circa due tre lt.); menzu micagnu: di capacità metà del precedente; quartucciu: di capacità uguale ad un terzo di micagnu; questi recipienti, che erano anche misure, avevano forma vagamente tronco - conica ed erano realizzati in lamiera di latta; a pidda: specie di piatto, in latta, con un occhiello per infilare il pollice, mentre con le altre dite si sorreggeva passandola lievemente sul pelo del liquido in modo da poter separare, ulteriormente, l'olio pulito dall'acqua sporca.

    Illuminazione: lampade ad olio: lumera i trappitu: una lastra quadrata di rame, di circa 20 cm. di lato, con i bordi rialzati e gli angoli a becco, munita di opportuno gancio. Vi si metteva dell'olio, con delle strisce di cotone attorcigliato (u micciu), immerse, che si accendevano, diffondendo luce giallastra; erano necessarie molte, e, ben ubicate, per illuminar bene tutto il frantoio. L'illuminazione esterna?: lanterne ad olio (vedi).

    Forza motrice: buoi e/o vacche per la molitura; braccia d'uomo per il torchio e la naspa.

    Squadre di lavoro: a) interna: tri trappitari e u bbovareddu: tre operai (frantoiani) ed il ragazzotto che guida il bue. b) esterna: diversi scecchi (asini) e conducenti, per il trasporto delle olive e, dell'olio.

    Corroborante: i proprietari delle olive erano soliti, di buona norma, inviare qualcosa da bere!

    Colazione e pranzo a carico del lavoratore.

    Paga: in natura, in proporzione alle olive molite ed alla quantità d'olio prodotto.

    Il proprietario del frantoio, tratteneva per sé le sanse e prendeva una certa percentuale d'olio come paga. Esistevano, quindi, due grossi recipienti: uno per il frantoio ed uno per i frantoiani, i quali, dividevano in ugual misura - salvo un piccolo particolare riguardo per il capu trappitaru, capo squadra - a periodi predeterminati; ciascuno aveva con sé un recipiente adeguato alla bisogna.

    Per il trasporto esistevano varie forme di organizzazione: provvedeva il proprietario delle olive; provvedeva il proprietario del frantoio esigendo una maggiore percentuale d'olio prodotto, e, pagava a carricu o a jjurnata: a viaggio (un carico), oppure a giornata: asino e conducente.

    Tecnica di lavorazione: l'unità di misura delle olive era u tuminu (tomolo, corrispondente a circa 45 kg., con vari sottomultipli - vedi), ma per le olive al frantoio si usava l'unità macina corrispondente alla quantità di olive che potevano esser macinate in unica soluzione, capienza della schedda, e resistenza del... mezzo di trazione. Na macina corrispondeva a quattro tomoli: a 180 kg. Nu carricu (cioè un viaggio a carico di asino), circa 90 kg. Nello spiazzo antistante il frantoio vi era, quindi, un andirivieni di animali da soma e di conducenti (per l'occasione detti mulitteri: chi guida il mulo) con varie opportunità di lanciarsi frizzi e lazzi reciprocamente, di scambiarsi qualche bicchiere, di consentire una breve pausa e colazione alla ... forza trainante etc. In periodi di piena lavorazione (tra gennaio e marzo), era normale lavorare su due turni, quindi tutte le squadre erano raddoppiate; cambio turno una volta la settimana.... il riposo ?.....a fine campagna olearia, la buona paga compensava delle fatiche.

    Non esistevano sindacati o corporazioni: ognuno sapeva quanto dare per avere tanto.

    Naturalmente v'era la necessità di ricambio per le vacche al giogo; non era difficile trovar, nelle vicinanze stalle apposite per consentire il ricambio e la nutrizione adeguata della forza motrice. Era proprio necessaria una stalla coperta e chiusa: i buoi al termine di un ciclo erano abbondantemente sudati!

    A braccia d'uomo si provvedeva a scaricare i sacchi delle olive, svuotandoli direttamente nella schedda (o accantonati per attendere il turno), mentre u bovareddu incitava la vacca ad iniziare una serie infinita di giri. Macchinari ad hoc spingevano le olive sempre sotto le molazze. Quando u capu trappitaru, ad occhio e sensibilità, notava che la molitura era sufficiente, apriva la vasca tirando una lastra metallica, e faceva scaricare in un apposito contenitore fisso, fermando quindi, la serie di giri e consentendo alla vacca una breva pausa e colazione: fieno, di quello buono!

    La pasta molita veniva messa, per mezzo di un badile, e, pressata con una leva di legno, nde sporti: trasportate e impilate, perfettamente a piombo, nel piatto, sotto il torchio. Raggiunto il carico possibile, si cominciava a girare la vite, prima a mano, poi, con una leva corta fino a quando cominciava a premere. La base del torchio consentiva, tramite grossi boccagli, l'inserimento delle leve. Il movimento di pressione era sempre unidirezionale, regolato da un grosso saltarello in ferro.

    Prima uno solo, quindi, due... poi la leva lunga e tre... poi, la gomena legata alla cima della leva ed alla naspa, e due che spingono con la spalla.... facendo giri e giri. Intanto il liquido nerastro, comincia a sprizzar dai fori delle sporte, mentre il terzo lo innaffia d'acqua bollente ed il tutto colare in un grande tino: tineddu. Talvolta è necessario aggiungere ancora acqua bollente ndo tineddu.

    Intanto il ciclo di molitura ricomincia.

    Ultimata la prima premitura, si scarica e si rimescola la pasta... seconda premitura ed ancora acqua bollente. Ultimata la fase, si scaricano le sanse e si libera la zona torchio... intanto sarà arrivato il proprietario delle olive portando un buon fiasco di S. Martino.

    Occorre una pausa: per consentire al liquido di decantare, per riorganizzare il successivo ciclo, e... per bere un bicchiere.

    Momento importante: si cogghi l'ogghiu: si raccoglie l'olio. S'inizia affondando u micagnu ndo tineddu; prima la paga agli operai, poi il dovuto al frantoio, quindi si comincia a contare e trasferire nde bbumbuluni, nda ll'utri....man mano che la quantità d'olio diminuisce di usa u quartuccio e quindi u menzu micagnu: non occorre calcolatrice.. si riesce abbastanza bene senza, facendo anche le operazioni di equivalenza: l'olio si misura a cafizzu (o, cafisu ), circa 16 lt. Quando ne resta proprio un pelo si usa a pidda. Quest'arnese, così come nella cultura della Calabria meridionale, era usato anche nella provincia di Catanzaro e Cosenza con il nome di piattu.

    Soddisfatto o no, il proprietario delle olive ringrazia, assiste al carico e lascia spazio ad altri.

    L'utri venivano caricate direttamente sulla soma, con accorgimenti particolari; mentre i bbumbuluni avevano bisogni di cufineddi i carricu, ceste per il carico.

    Nota: intanto passa dinanzi al frantoio nu poviru bbisugnusu, (un pover'uomo in stato di necessità), e si coglie l'occasione per offrirgli un po' d'olio... pi ll'animi di priatoriu, per le anime del Purgatoio.... e se nelle vicinanze c'è fragranza di pane fresco... pane fresco ed olio fresco per tutti!

    Il ciclo non termina senza accese discussioni, scherzi e, talvolta salaci commenti, sulla qualità, quantità, zona di raccolta.... nonché sui giovani... sempre svogliati "costoro" (mi perdoni Verga!).

    Precisazione: la buona qualità dell'olio, dipende: dalla terra di produzione, dai tempi di raccolta delle olive, dal tempo che queste hanno trascorso zzimbunati, ammassate in una vasca di temporanea raccolta. Se quest'ultimo tempo è veramente notevole, inizia la produzione di una muffa che danneggia la qualità dell'olio. Dipende soprattutto dalla qualità delle olive: quelle grosse, con molta polpa... non danno l'olio migliore!, le piccoline con pochissima polpa e grosso nocciolo, in proporzione, ne producono di meno.... ma di eccellente qualità.

    L'assaggio di qualità: secondo sensibilità del capu trappitaru... ora, invece, sono in uso strumenti di analisi!

    Importante: le molazze e le pietre della schedda, piano vasca, ogni quattro- cinque anni devono esser martellinate, per render ruvida la superficie di contatto. L'olio delle prime moliture, proprio a causa dell'operazione di martellinatura, conteneva anche impurità, nonostante tutte le cure nel pulire le molazze.

    L'operazione veniva chiamata: martiddari ed eseguita da operai specializzati. Le molazze non venivano smontate, le si faceva ruotare un po' alla volta per consentire all'uomo di lavorare in piedi ed intanto di marteddari a schedda: martellinare anche la vasca.

  • Trapularu: chi ne inventa ed organizza... troppe, ... trappole; persona da evitare; traditore.

  • Traseculari: sbigottire; dal latino trans jaculare, colpito dal giavellotto.

  • Traseculatu: un po' tonto; sbigottito.

  • Trattinimentu: trattenimento, divertimento, svago . Era noto questo suggerimento ai bambini un po' discoli o irrequieti: vai da.... e fatti dari un pocu i trattinimentu: vai da... e chiedigli di trattenerti, intrattenerti per un po'; il bimbetto ubbidiva e chiedeva proprio un pocu i trattinimentu intanto che la mamma poteva accudire alle sue faccende.

  • Travagghiari: (dal francese travailler, lavorare), lavorare, svolgere qualsiasi attività.

  • Travagghiu: lavoro; il lavoro....

  • Travu: trave , fusto di legno dritto e robusto di varie dimensioni , secondo le necessità . Normalmente fusto di castagno di bosco. Travu i sularu: trave abbastanza robusta da sostenere un solaio, di legno, naturalmente ; si usava anche per indicare uomo o donna di forte personalità. Cichi, cichi, ndo travu. Nugoli di nipotini attorno alle gonne di nonna o a dar fastidio al “nonno con la pipa” e tutte le loro (dei nonni) attenzioni ed arti per tener calma la ciurma per lunghe ore. Ci si deve inventar qualcosa: favole, lavorucci atti alle varie età, ma anche provocare la loro attenzione e perché no! Anche la loro paura. E quindi s’impone l’assoluto silenzio in maniera da ascoltare e “sentire“ un leggerissimo fruscio che potrebbe essere anche prodotto dalle tarme del legno molto verosimilmente un onomatopeico cichi, cichi..... e, senza enormi difficoltà ottenere un po' di calma dai creduloni piccoli, i quali, ascoltavano ed udivano, veramente, quel certo rumorino prodotto dalle tarme...o credevano fosse tale, magari, il fruscio del vento. Scopo ottenuto, tranquilli bimbetti e nonni resta il ricordo del termine, vero o neologismo “ad hoc“.

  • Trenu: il treno, senza aggiungere altro.(per completare, vedi anche Traforu).

    Ricordo: chi aveva utilizzato il treno era una persona che aveva conosciuto la civiltà ...e, per rappresentarlo a coloro ai quali raccontava delle sue esperienze imitava con parole dialettali quello che, secondo lui, sarebbe stato il rumore della locomotiva: non ti pozzu, non ti pozzu, ccà ti pigghiu e dda ti posu, non ti pozzu, non ti pozzu; ccà ti pigghiu e dda ti posu. (non ti posso, qua ti prendo e .... la (poco più in la) ti lascio.

  • Trifala (molto raro ; frequente sipala): siepe di spini ed altri arbusti con moltissimi ramoscelli.

  • Trifaluni: (molto raro; frequente sipaluni) groviglio di spini; siepe di spini.

  • Trincari: bere in abbondanza , di quello buono!

  • Trincettu: coltello tipico del calzolaio, lama unica, molto robusta, vagamente arcuata, con la superficie di taglio molto affilata. Sinonimo di coltello molto affilato. Spesso il termine si usa per indicar cosa ricurva, non più diritta…come le gambe di un cavallerizzo!

  • Trinchité: a iosa, a sazietà. "ad libitum", a volontà.

  • A vostra casa mangiati a trinchité: da voi si mangia a volontà, sia come qualità che come quantità. Era un apprezzamento sia sulla qualità/quantità del cibo che sulle possibilità economiche per procurarselo; cioè "appartenete ad una classe abbiente"

  • Ndi mbippimu na buttigghia a trinchité: abbiamo bevuto una bottiglia (di vino) ...di quello buono, a sazietà...proprio perché buono.

  • Trincia: (oggi più frequente currìa, cinta) cinta dei pantaloni.

  • Trippa: trippa, in genere, interiora di bestia da macello, più precisamente, quella bovina.

  • E' bbona sta trippa, lavata?: (pronunciando, con o senza virgola) Ggiufà (il bonaccione, lo stupidotto del paese), è stato incaricato di pulire le interiora di un bovino, ma se n'era stufato, sia per la fatica, che per il materiale olezzante da pulire; pare che fosse sulla riva del mare e, vedendo passare, a grande distanza, un veliero... si è rivolto a quei marinai per chiedere parere sul lavoro svolto. Solito gioco di doppi sensi: a) è ben lavata questa trippa?, b) è buona da mangiare, dopo lavata e cotta, questa trippa?.... tanto stupido, poi... non era Ggiufà!

  • Tripodu: tripode di ferro al di sotto del quale si accendeva il fuoco e lo si alimentava con legna e di sopra si appoggiava il recipiente per la cottura degli alimenti.

  • Trippedi: treppiedi: attrezzo costituito da tre assi di legno, di metallo, coincidenti e sghembi, sul quale poteva sistemarsi un piano d'appoggio e/o un punto di sostegno, di forza. Riferito a persona indica: qualcuno che, a causa di malformità naturale o causata, ha bisogno di stampelle per potersi muovere o reggersi in piedi; talvolta usato in senso spregiativo per persona storpia, malformata.

  • Tripuliari: potrebbe esser "driblare" da dribling: evitare un argomento scottante; ansare un pericolo, evitare un incontro poco opportuno.

  • Trispitu: cavalletto metallico per potervi appoggiare le tavole e, quindi adagiare il materasso, e, fare il letto. Esistevano soltanto per la dimensione lettino, mentre per matrimoniale venivano usate due coppie. In ferro pieno quadrato di circa 3 cm. di lato; un semicerchio di base di circa 30/40 cm. di diametro, sul quale si ergeva un'asta a piombo, collegata con l'altra, analoga, da una barra orizzontale di circa 90 cm. di lunghezza: tutto lavorato ad incastro a caldo...pezzi non saldati!

  • Triti: una fase della metamorfosi del baco da seta (vedi vermu)

  • Triulu: (o trivulu alcuni dicono strivulu), dal greco trghìzo, piagnisteo, cattivo augurio. Vociar blà...blà....blà....blà... su un determinato argomento come se si volesse orientare il destino verso una soluzione negativa. Jttari u triulu ....la credenza popolare vuole che determinate persone (spesso bruttissime, vecchie e rattrappite), abbiano la capacità, con il loro piagnisteo di orientare, determinare soluzioni negative come una magia in negativo.

  • Trizza: la treccia dei capelli femminili; treccia o intreccio di rami d'albero; momento duro e difficile di un certo periodo; argomenti oppure oggetti attorcigliati.

  • Troccula: arnese di tavolette di legno atto a produrre il rumore caratteristico del legno che batte. Si usava nei giorni della Passione (da giovedì sera a sabato a mezzogiorno), in luogo delle campane in segno di lutto. Era costituito da un asse: 20/25 per 30/35 cm., con apposti due sistemi: cervicale e caudale che consentivano l'inserimento di una tavoletta, per mezzo di un asse, circa metà della parte centrale, sia da una parte che dall'altra; il tutto munito di un manico ad arco. Si suonava facendo muovere il braccio (soprattutto il polso) con un movimento andirivieni semicircolare: produceva un suono, grosso modo:... tla, tla, tla, tla..... Nei predetti giorni, ragazzini a gruppi, con lo strumento descritto, facevano il giro del paese per annunciare l'inizio delle funzioni religiose.... tenuto presente che... il campanile doveva tacere.

  • Troffa: cespuglio di erbacee e di legnose. Dal greco trophe.

  • Trozzu: (dal francese tros, pezzo) un pezzetto, una piccola parte. In effetti si diceva più correntemente per indicare un tozzo di pan secco, spezzato con le mani, quindi senza particolare forma.

  • Nu trozzu i pani e mmorsu i saddizzu: un pezzo di pan secco e qualche fetta di salsiccia. Chi aveva la fortuna di possederlo... colazione, pranzo e cena dei periodi freddi.

  • Trozzu e muddica: pezzetto e mollichine; pane spezzato con le mani, quindi necessariamente molliche. Si dice frequentemente di due persone che stanno sempre insieme che vanno ben d'accordo; ma spesso se ne da anche il significato contrario, cioè gente non lineare che sa opportunamente nascondersi diventando...piccina.

  • Nu trozzu i pani si duna pi ll'anima: un pezzo di pane (in effetti quel che è di più: quod superest, dice il Vangelo!), si da ai poveri, in suffragio delle anime del Purgatorio.

  • Trubbulu: liquido sporco che deve ancora sedimentare con presenza di impurità che modificano il gusto e le qualità... in maniera particolare: vino, olio.

  • Ndaju puru eu i me' trubbuli: ho anch'io i miei problemi, i miei guai....

  • Trugghiu: (dal greco troulla, cupola): uomo grasso con la pancia grande come una cupola; persona sgraziata; inetto, un po' babbeo. Pieno di sé.

  • Attìa trugghiu!: A te, buono a nulla, grassone.

  • Trumba: tromba in genere.

  • Trumba i ventu: tromba di vento, ciclone.

  • Ndavi na trumba!: ha una tosse!... ma anche: ne fa di peti. Ha certi organi!....

  • Esti na trumba: spione, chi sbandiera ai quattro venti ciò che non dovrebbe.

  • Trumba i tineddu: nelle tinozze da frantoio, una particolare doga molto grossa con due canali longitudinali, non comunicanti, di circa 3 cm. e due fori trasversali alla base, ciascuno dei quali comunicante con un solo canale. L'olio che scendeva dalla premitura del torchio veniva mescolato con acqua bollente (scaddari l'ogghiu); l'acqua, trasportando con sé altre impurità occupava la parte bassa e ad un certo punto cominciava a fuoriuscire, attraverso il congegno della tromba.

  • Trumbula: termine, non indigeno, per indicare a rumbula (vedi) trottola -

  • Trunchettu: piccolo tronco.... ma di che? per antonomasia si intendeva il tronchetto di torrone gelato prodotto in casa per le festività natalizie.

  • Truppeddu: (i tila) una certa quantità di tessuto, di cotone, di lino, di seta, sintetico....spesso si usava anche come misura che corrisponde a circa quattru canni (na canna, circa 1,60 mt.) e cioè circa mt.6,40.

  • Truppiddiari: l'atto di avvolgere la tela su aspe predisposte; saltellare, camminare saltellando, far chiasso, battere violentemente i piedi per terra...

  • Truscia: a) niente o quasi niente, vuoto; inutile tentativo... risultato zero! b): persona ben pasciuta, rotondetta... faccia di luna piena. c): accomodamento per trasportar qualcosa: biancheria pulita o da lavare legata in un grosso fazzolettone; piccoli legnetti da ardere legati in un telo qualsiasi; lunghe erbe legate in un telo per il trasporto... Per il telo, spesso, le buone massaie, usavano il grembiule (davantino e solo basso, legato con due mezze cinte alla vita), per avvolgere e/o legare.

  • Trusciata: la quantità di qualcosa trasportata legata o avvolta in un grande telo. Facilmente usava questo termine una mamma in stato interessante: portu a me' trusciata.

  • Na trusciata i fogghi i castagnitu: si usava una grande saladda (vedi) aperta per terra: circa tre metri per tre, vi si mettevano dentro le foglie raccolte sotto i castagni o sotto i castagneti e, tenendo sollevati i quattro angoli - spesso, temporaneamente legati a dei paletti - si cominciava a pestar coi piedi per pressare il contenuto.... saltelli gioiosi di quei bimbetti che ne avevano l'opportunità di collaborare e divertirsi... indi si legavano gli angoli a due a due per diagonale e si

  • Trusciatedda: piccola trusciata di materiale piuttosto ingombrante, ma anche pesante.

  • Trussa: rapa. Parte rotondeggiante, violacea, del fusto della rapa. Molto fibrosa e piccante (più del radicchio), da molti gradita anche cruda proprio perché croccante. Ottima per zuppe di verdure.

    Volgarizzazione di "trousse": astuccio, fodero, borsetta.

  • Trussu: (dal greco thyros, torso, stelo) torsolo; parte del fusto, un po' indurito di erbacee che, di solito, non può essere utilizzato, da buttar via. Alcuni preferiscono però il gusto croccante e un po' selvatico.

  • Ndavi trussu!: pezzo di fesso, inutile, stupido.

  • Trusuleu: uccello migratorio, di un bel colore giallo. Si pensa che, a causa del colore, possa essere considerato un po' stupido e si usa, frequentemente per indicare persona vanitosa e, a modo suo elegante, che può esser facilmente presa in giro. Rigogolo. Dalla voce greco-bizantina chryso-laios, tordo d'oro.

  • Truttiari: trottare, rigar dritto, camminare velocemente. Il trotto è tipico degli equini i quali vengono abituati fin da piccoli (ndomitati: addomesticati) è un modo svelto e naturale di camminare ma che viene potenziato dall'apprendimento di norme e regole, da cui: ti fazzu truttiari, ti costringo a rigar dritto, a rispettare le buone norme di vita.

  • Ttaccia: vedi Attaccia

  • Tteddiu: (anche a tteddiu) disturbo, fastidio.

  • Mal’atteddiu: un grave disturbo, un fastidio enorme...ma anche la persona che provoca il fastidio

  • Ttrassari: vedi attrassari

  • Ttrassatu: vedi attrassatu

  • Tularu: telaio.

    Tularu

    Tentar di “ricostruire“ il telaio utilizzando soltanto le proprie conoscenze: ciò che rimane, dopo tanto tempo.

    Il telaio: mezzo e strumento artigianale per tessere, quasi sempre ad uso famiglia, qualsiasi tipo di tela, dalla più semplice a quella più elaborata con disegni vari e a vari colori.

    Tessere: metter dei fili verticali - fissi -, incrociarli - in vario modo - con quelli orizzontali. I verticali, fissi: ordito; gli orizzontali fanno la tela: la trama.

    A guardarlo dalla sua sezione laterale potrebbe sembrare: un parallelepipedo rettangolare, sormontato da un tettuccio a triangolo isoscele.(castedu) Dall'incrocio delle travi, in cima, pendevano delle cordicelle alle quali erano legate delle assi da cui pendevano: una cordicella a disposizione della maestra ed almeno altre due - una per ogni lato- che si legavano ai fili del lizio (plur. lizzi). I lizzi erano un insieme di nodi ad anello, realizzati con cordicelle sottili di canapa; attraverso i nodi ad anello passavano i fili dell' ordito (urdimentu); in tutto ve n'erano tanti quanti i passaggi del pettine o naspa.

    Le cordicelle verticali erano legate a gruppi ai pedali; per mezzo del movimento dei pedali - almeno quattro, ma in taluni telai di alto artigianato, fino a dodici - si realizzava l'inclinazione dei fili dell'ordito consentendo il passaggio della navetta (navitta).

    Es. abbassando il pedale A si spostavano in basso i fili della posizione 1, 3, 5, 7, etc. dispari; abbassando il B si spostavano il 2, 4 , 6, 8 etc. pari. abbassando il C si spostavano a gruppi tre pari e tre dispari (ad es.). Si realizzavano così i disegni ed era possibile inserire vari colori dei fili, trama, fermo restando l'ordito, di unico colore.

    La base: soltanto gli spigoli.Travi di legno stagionato per una lunghezza di circa 2,80/3,00 metri e larghezza di almeno 1,80 (la tela: solitamente “ad altezza semplice“ è di circa 70 cm. Mentre ad “altezza doppia” è di circa 1,40 mt.. Queste sono tutt’ora le dimensioni accettate dal commercio!). L’altezza del tessuto corrisponde , invece, alla larghezza del telaio. Ecco perché circa 1,80 cm. Sono necessari molti spazi vuoti .

    Gli stanti spesso sono sorretti da travicelli trasversali che sono ubicati in modo da consentire almeno il “doppio uso“.

    Cominciando dalla panchetta dove siede la maestra. In primis : la maestra non può usare scarpe con suole rigide, vedremo perché; le è consentito l’uso di robuste calze di lana.

    La panchetta, lunga circa 1,80 mt. di altezza, regolabile secondo le esigenze, con qualche cuscino per il povero di dietro che sta lì per lunghissime ore; dev’essere lunga per consentire di spostarsi a destra e a manca!

    Non necessita di spalliera: basta appoggiarsi al muro retrostante, di tanto in tanto.

    Subito dopo, sul davanti, lo spigolo alto di uno dei rettangoli: una trave sempre lucida, per il continuo “attacco” con le mani e con i vestiti e il petto della maestra ; quindi all’interno il rullo(*) con la tela , poi i fili dell’ordito , il pettine, e la matassa (a matassa di lizzi, da ora in poi soltanto lizzi) poi, in fondo , sullo spigolo corrispondente opposto, il rullo(**) con i fili dell’ordito.

    Il rullo (***) con il “tessuto“, un robusto asse di legno perfettamente cilindrico che appoggia ai lati su anelli dentro i quali può agevolmente girare. Questi anelli sono fissati sia alle travi della parte bassa che a quelle della base laterale, e, insistono su questo rullo dei "fermi" a croce che consentono la stabilizzazione e la giusta "tesatura": sono dei congegni che consentono di raccogliere il tessuto sul rullo o di arrestare temporaneamente la tensione dei figli dell’ordito...per ...riparazioni varie.

    Gli stessi congegni si trovano sullo spigolo corrispondente avanti e, più o meno con gli stessi “fermi” e le stesse funzioni.

    Una delle “basi lunghe” poggia a terra, sull’altra insiste il castello (u casteddu) dal profilo triangolare che serve per reggere i fili dell’ordito i quali vanno dall’avanti verso il dietro (il dietro è quello dove siede la maestra!), subito accosto all’ultima trave alta, un rullo uguale a quello già descritto, nel quale mediante un arganello, si raccoglie il filo dell’ordito. Questo rullo porta alle estremità dei “coperchi“ perfettamente circolari e perfettamente lisci, che impongono ai fili la stessa identica posizione, senza “sgarrare!”

    Il filo dell’ordito è tenuto in tanti rocchetti, quanti sono i fili necessari per realizzare l’opera; i rocchetti sono sistemati e girano velocemente su un asse fisso, in vario ordine e su piani diversi, ma in maniera da rispettare perfettamente la distanza laterale tra l’uno e l’altro ...filo.

    Per uniformare la tensione dei fili, all’arrivo, sul rullo, esiste un congegno apposito (il complesso dei lizzi) che impone il percorso - dei fili - attraverso una serie di cannucce e buchi successivi.

    Ma... raccolti i fili dell’ordito nel loro rullo - anteriore - bisogna farli arrivare al rullo posteriore, accennando ad un disegno che può esser quello perfettamente perpendicolare con ...quella che sarà la trama e, quindi uno alla volta - tenendo bloccato - per mezzo dei vari fermi, tutto il sistema rullo anteriore - si passa attraverso i lizzi, la maestra sa come e dove! ...è apposta maestra! quindi al pettine (pettinu) e infine al rullo ...del tessuto.

    Attraverso la matassa d’ i lizzi ed il pettine i fili giungono al rullo del tessuto uno alto ed uno basso, ma in maniera da poter essere, velocemente - per mezzo di una leva - quella posteriore – invertiti, altrimenti come si fa la tela? Se tutto questo che si chiama urdimentu: operazione necessaria e completa per sistemare i fili dell’ordito: urditu, è pronto...che si può cominciare a tessere? Si potrebbe dir di si; ma è necessario che siano pronte e complete altre operazioni: la predisposizione dei rocchetti (cannucci) che vengono infilati nella navetta (navitta), una specie di scarpetta molto affusolata e vuota all’interno con due perni , anteriore e posteriore, - uno dei quali dev’ esser mobile - ; il filo deve scorrere agevolmente e, le navette possono (di solito sono) esser più di una con filo di varia sezione e colore.

    E la navetta inizia il suo “andirivieni“ veloce tra i fili dell’ordito: da sinistra a destra e la leva ed i pedali provvedono ad invertire la posizione... da destra a sinistra e...subito altra inversione ...dodici passaggi (sei in ciascun senso) di solito e quindi con il pettine si batte alcune volte per ....dar consistenza, stringere, legare.....

    I piedi della maestra poggiano su “una pedaliera” mediante la quale ella può agire sui fili dell’ordito sia per la tensione che per l’inversione che per la sostituzione temporanea.

    (*) subbia dell'ordito. (**) subbia della tela (***) Subbiola, si usava in aggiunta alla subbia della tela, in caso di tessuti molto grossolani e/o di notevole spessore. In questo caso, già dall'inizio della tessitura, la tela, tirata, veniva agganciata ad un rullo, sistemato al di sotto della normale subbia - le tela percorreva una specie di esse lunga, e, in definitiva, veniva raccolta dalla subbiola.

    Lavori accessori :

  • Ncannari: mettere il filo nei rocchetti di canna. ncannaturi: asse di legno con un’estremità incavata entro la quale, con appositi sostegni, venivano sistemati, i “rocchetti” di canna - da cui il nome - contenenti il filo.

    Le cannucce, vuote all’interno, della stessa sezione e lunghezza, venivano “riempite... a mano, ma occorreva molta precisione per metter sempre la stessa quantità ed erano di dimensioni diverse per il filo dell’ordito e per quello della trama.

    Tipo di tessuto :

    L’urdimentu e l’urditu: l’operazione e la disposizione dei fili è uguale per tutti i tessuti, in partenza! ...varia secondo le necessità...durante il percorso.... e diventa, di nuovo uguale, ...sul rullo di raccolta della tela.

    a saccu, tessuto con fili perfettamente verticali ed orizzontali incrociantisi alternativamente, in basso o in alto. Per le tele ...ordinarie a base liscia: lenzuola, tovagliato, tela per indumenti etc. Questo tessuto può esser “vivacizzato” da disegni perfettamente geometrici....ogni dieci fili dell’ordito ...ve n’è uno doppio ....e si vede...eccome...; ogni dieci passate della navetta si fa una passata con filo doppio ....ed ecco i quadrati ...che possono essere rettangoli , che possono avere i bordi perimetrali di colore..., di tessuto doppio, triplo, ma lo stesso ordito permette di realizzare “o spigato” con incroci dei fili tipo lisca di pesce o, in direzione diagonale, agendo sui pedali!

    a disegnu,: il più semplice: quello a scacchiera che si può realizzare anche in policromia e dipende dalla quantità e qualità di filati e dalla ...capacità della maestra. Ma anche altri disegni: fiori, piante, animali volute, strutture, però per realizzare determinate “opere d’arte“ è necessario, per ogni passata della navetta ...compiere determinate funzioni ...con ... tempi lunghissimi....per un’opera d’arte!

    U tisciuu: il tessuto: dalle lenzuola alla tela per biancheria - anche quella intima - dalle coperte: lana e lana, ai sacchi di ljianara (vedi), alle sciarpe e sciarpette - anche di seta ... (di quella di II^ , però ! quella di I^ si vendeva e...rendeva bene!) seta e seta; al tessuto, per quanto si voglia grossolano, ma robusto e caldo, per i vestiti e cappotti (u pastranu, era il tipico soprabito d’uso frequente lana e lana!).

    Scola?: Non esisteva una scuola: si apprendeva l’arte, “andando all’arte“ (iri all’arti = andar presso un maestro per apprendere la sua arte) ...anni ed anni .... Si cominciava di solito sui dieci anni per finire verso i venti, quando non era necessaria altra specializzazione; fino a quando si conoscevano tutti i segreti del mestiere. Ma la Maestra era....attenta ad assecondare le richieste delle allieve: confidava - i segreti - soltanto a chi sapeva usarli ....!

    Una brava maestra, si trovava d’attorno almeno una decina di discipuli (discepole, apprendiste) ...alle quali insegnava, talvolta anche a leggere e scrivere ...e ...contar con le dita....o, al massimo, fino a na duzzina (una dozzina, dodici ).

    Spesso quelle Maestre erano...analfabete.... non sapevano “metter la firma!”, ma sapevano contar sulle dita e a dozzine...quanto bastava loro...per il loro lavoro .

    La Maestra non pretendeva alcunché...in denaro , anzi spesso faceva dei regali alle più anziane e più brave....però...le ragazzine dovevano ....oh...insomma: prendere un orciolo d’acqua fresca dar da mangiare alle bestiole nel cortile. Tra di loro (maestra ed apprendiste) si stabiliva spesso un rapporto di fiducia affetto molto...molto simile a quello tra madre e figlia ...tanto che c’era a maistra (le maestre) e a ma stra, quasi fosse ma....mma estra maestra). La maestra seguiva le sue ragazze fino al loro matrimonio, vi partecipava facendo qualche sostanziale regalo: nu truppeddu i tila, per es., una balla di tela! E l’apprendista, anche, quando già lei maestra, mamma di tanti figli, ricordava sempre con affetto e stupore i suoi anni giovanili passati accanto alla sua “MAESTRA”.

    U filatu: il filo per l’ordito normalmente poteva esser prodotto industriale: ritorto, doppio ritorto, filo semplice....di seta, di cotone, di lana...di lino ...di misto ...., ma lo stesso poteva anche essere realizzato artigianalmente...con le evidenti , però, grossolanità. Il filo della trama: prodotto della terra lavorato sul posto. Lana: lavata, cardata, filata, ritorta. Canapa lavorata, sbiancata, cardata filata ritorta a tre capi, a quattro capi ...così il Lino, che in buona parte veniva prodotto sul posto, ed anche la fibra di Ginestra, quella dell’Agave.

    U tinturi. anche lui paesano, comprava poche cose al mercato, costava tutto! Ma sapeva ingegnarsi a produrre i colori chissà come! e renderli indelebili anche alla bollitura! Es. le foglie di alloro per il verde, nelle varie tonalità; le more nere di gelso per le varie tonalità del osso, fino al color vinaccia; le more di rovo per i colori più densi della tonalità rossa; le corolle delle margheritine del prato per le varie tonalità del giallo, spesso si mescolava del tuorlo d'uovo. Esisteva, naturalmente, qualche diceria: secondo alcuni venivano anche usati escrementi di equini!

    Veniva convocato dalla maestra e riceveva degli “ordini” precisi ai quali obbediva!

    U tularu essendo una struttura ingombrante e complessa non poteva esser ...mobile... quindi non lo si poteva trasportare, smontare, rimontare, era necessaria l’opera del mastru costruttore che, nel tempo, era anche il garante e provvedeva alle riparazioni producendo, artigianalmente, i pezzi da sostituire.Dunque si andava dalla Maestra e si ordinava: tanti canni i tila di lana, tanti metri quadri, si direbbe oggi, di tela: lana e lana, lino e lino etc, che si poteva comprare dalla stessa - normalmente produceva, ma non commerciava, soltanto commercio: compra vendita! era compito di altra gente, o comprare altrove quantità e qualità indicate a seconda del prodotto desiderato. Secondo vecchie tradizioni il telaio passava dalla mamma alla figlia maggiore, e così di seguito, ma non di rado veniva regalato alla nuora anziana; ma sia alla figlia che alla nuora venivano impartite le lezioni necessarie per ...capire i segreti del mestiere.

    Il luogo: veniva sistemato in un “basso” molto ben illuminato ed esposto al sole.... Il lavoro: soltanto di giorno soprattutto per problemi di illuminazione: quella ad olio era sempre un po' rischiosa, per le conseguenze che poteva lasciare.

  • Tulupi, tulupi: mangiare a bocca piena, con ingordigia e voracità.

  • Tuminu: tomolo. Misura di capacità e peso corrispondeva a circa mezzo quintale a seconda della merce. E' chiaro che nu tuminu i ranu (un tomolo di grano) pesava circa 50 kg. mentre di altra merce più voluminosa poteva pesar molto di meno. Dall'arabo tomn: pesante.

  • Tumpuruni: grosso pezzo, di qualsiasi cosa.

  • Nci desi quattru tumpuruni i carni... chi ppisavinu 'nchilu: gli ho dato quattrro grossi pezzi di carne, che quasi pesavano un chilo.

  • Tundiri: tosare, tagliare la lana delle pecore; di solito due volte all'anno. Si usava anche per indicare l'opera del barbiere, in senso spregiativo. Spesso ha il significato di...perder tutto.

  • Rristai tundutu: son rimasto anche senza capelli, tosato, senza nulla.

  • Tuppa: lanuggine del baco da seta. Ved voce vermu.

  • Tuppeddu: piccolo chignon, crocchia di capelli molto piccola;

  • Tuppeddu i tila: una certa quantità di tela tessuta in casa.

  • Tuppu: (dal francese toupet, crocchia di capelli) capelli annodati dietro la nuca; chignon, crocchia di capelli. Particolare pettinatura usata dalle nonne. Capelli raccolti in un grosso nodo sulla nuca,e, molto tirati ai lati: dava il senso dell'ordine, della pulizia.

  • Na fimmina cu tuppu: una donna con i capelli a crocchia; una donna di grande rispetto, una donna, tanto donna che porta i capelli in quel modo.

  • Turcigghiuni: leva di legno o di metallo che permette di torcere: infilata in un occhiello e girata più volte: da turciri (torcere), da il senso del dovere e del rispetto.

  • Nci dessinu ddu vutati i turcigghiuni: gli hanno dato due giri... lo hanno ben richiamato.

  • Turcu: (credo sia l'ortografia corretta,in luogo di turku) feroce, antipatico, asociale. Usato di frequente come soprannome per persone di tal fatta.

  • Turduni : (dallo spagnolo aturdida, ottuso): ottuso, lento, stupido, idiota.

  • Turri: si indicava, per antonomasia (ma l'unica esistente) la torre del palazzo baronale già appartenuto ai Piromalli. Col tempo è stato dato il nome alla strada: via Torre.

  • Turriuni: zona del terreno non molto estesa e con alcuni lati a scoscendimento veloce o quasi a perpendicolo di forma tale che, da distanza, dia l'impressione di una grande torre naturale. Anche questo termine viene usato per indicare località, contrade ed è riportato in mappe di dettaglio.

  • Turruni: torrone. Dolce tipico delle festività natalizie prodotto con mandorle intere o tritate (nocciole, noccioline, noci), impastate con zucchero e miele aromatizzati ed avvolti in un film di cioccolato o zucchero a gelo. La frutta veniva torrefatta, senza perdere il color quasi bianco, per mantenere sempre il gusto croccante.

  • Tuseddu: (vedi susellu) baldacchino.

  •  


    contatori internet