"FUSSATOTI RITORNATE VIRTUALMENTE ALLE VOSTRE ORIGINI"

 
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LA STORIA DI FOSSATO IONICO

 

 

Incontrando parole dialettali, o modi di dire ormai sconosciute, consultare il Dizionario a cura di Antonino Pellicanò, presente su questo sito.

Non pretendo di essere preciso nella descrizione di fatti e luoghi, ma mi affido alla memoria e ricordo, ripassando nella mente un vecchio film in bianco e nero: la mia fanciullezza e la mia adolescenza. 

STORIA E ORIGINI 

Fossato Ionico fu comune con il nome di Fossato di Calabria dal 1805 (Editto di Napoleone Bonaparte) fino al 1890, alternativamente con Montebello fino al Regio Decreto di Umberto I° che il 7 aprile 1890, a richiesta degli amministratori locali con atto deliberativo del Consiglio Comunale, definitivamente cambiò il nome di Fossato Calabro in Montebello. Si trova in una valle dei contrafforti meridionali dell’Aspromonte a un’altezza sul livello del mare che va dai 600 ai 650 metri. Dista da Reggio Calabria 41 km. e si può raggiungere percorrendo la S. S. Jonica 106 fino al km. 26, poi si  imbocca il bivio per Montebello e  si prosegue per circa 15 km. Lasciata la statale, la strada per un lungo tratto sale dolcemente e il viaggiatore incontra subito alla sua destra un gruppo di abitazioni che formano l’abitato di Tegani. Le case recenti furono costruite dagli anni ’70 in poi in seguito al trasferimento a valle di famiglie fossatesi e montebellesi. Qualche chilometro più avanti allo sguardo del viaggiatore appare all’improvviso dietro una curva la maestosa rupe di Pentidattilo (foto 1-2).

 

                                   (Foto 1) Pentidattilo visto dal mare                               (foto 2)  Pentidattilo visto dalla montagna

Penta dattilos (penta daktulos, cinque dita), etimo greco-bizantino. Di là del profondo solco della fiumara S. Elia, tra due mammelle di granito, si può ammirare quello spettacolo della natura. La gigantesca mole di arenaria spunta da una collina sabbiosa e si staglia per circa duecento metri: cinque dita di roccia puntate al cielo che raccontano una delle più drammatiche storie e leggende che furono il respiro delle nostre genti. Il paese, disabitato da tanti anni, è incastonato nell’incavo della mano su un ripido pendio inframmezzato di rocce, muri a secco e fichi d’India. Ai suoi piedi la fiumara si restringe in una gola selvaggia, uno stretto canyon di circa 300 metri di lunghezza che finisce per allargarsi sotto l’abitato di Masella (foto 3-4-5). 

(foto 3-4-5) L’abitato di Masella

La strada attraversa per circa 8 chilometri terreni argillosi, le marine, con qualche formazione rocciosa di colore bianco-giallastro. Su tutte, alla sinistra della strada, dominano le Rocche di Prastarà (foto 6). Nei pressi negli anni '50 fu girato un film: <Il bandito di tacca di lupo>, con Amedeo Nazzari e Cosetta Greco, in cima alle aspre colline che al tramonto si colorano di rosso.

(foto 6)  Le Rocche di Prastarà

Attraversato l’abitato di Masella, la fiumara si restringe ancora e le formazioni rocciose diventano compatte e numerose. Sulla sponda destra, le Pietre Camminanti (foto 7-8-9) fanno da sfondo a un paesaggio brullo di natura inappagata.

(foto 7-8-9) Le Pietre Camminanti

Domina gigantesca la Rocca di Santa Lena, che cova uova d'oro secondo un’antica leggenda, e dietro, la compagna Smiroddo, la Rocca di Smeraldo, verde di muschi (foto 10).

(foto 10) La Rocca di Santa Lena e Smiroddo

Ancora per qualche chilometro sulla sinistra del viaggiatore incombono montagne friabili. Dietro la curva a precipizio sul nulla appare Montebello (foto 11-12-13). Costeggiando un lungo canyon, la strada, intagliata nella viva roccia, raggiunge il paese. Su quattro tornanti stretti fino alla piazza della chiesa si stende l’abitato, posto su uno sperone a strapiombo sulla gola in cui si immette la fiumara di Dadora.

(foto 11-12-13) L’abitato di Montebello e l’imboccatura dello Stretto omonimo

Lo Stretto di Montebello (foto 14-15-16), una volta passaggio obbligato per raggiungere Fossato, con pareti di roccia alte fino a 70 metri,  ha una larghezza minima di appena 4/5 metri e dopo tre tortuose curve a gomito sotto la passerella di S. Elena (Santa Lena, Sant’Elèna, toponimo in onore dell’imperatrice bizantina Elèna Flavia?) incomincia ad allargarsi man mano che si sale verso Fossato.

(foto 14-15-16) Lo Stretto di Montebello

All’improvviso, come per incanto, spariscono le pareti rocciose per cedere posto a terreni, sempre molto acclivi ma coperti di querce e ulivi secolari. La strada si snoda tortuosa a mezza costa sulla catena collinosa di sinistra della fiumara. Man mano si fa sempre più ripida ma con curve più ampie e qualche rettilineo di breve lunghezza. Si passa ormai sotto una teoria continua di ulivi, drappeggiati da reti colorate d’inverno e su terreni arati con cura d’estate. Siamo già nel cuore del territorio dell’olio d’oliva, risorsa principale e vanto di Fossato. All’altezza dell’Annunziata (foto 17), la valle si allarga sempre di più in un respiro maestoso.

Sulla fiumara S. Elia confluiscono altre affluenti, lunghe e di grande portata: le fiumare du Locu, Virgu, Chjuppu. Su un primo ponte della lunghezza di circa 50 metri la strada attraversa la fiumara di Virgu e, dopo il ponte du Chjuppu,  raggiunge le case del Serro, il primo  nucleo abitato. Subito dopo l’ultima curva lo sguardo, dal ponte del Calamaci, si allarga come un ventaglio sull’ampiezza del paese alla confluenza di tre fiumi di pietra. Una valle maestosa (foto 18-19-20) del massiccio aspromontano si offre alla vista e accoglie nel suo largo grembo l’abitato irregolare, i suoi rioni e i suoi giardini tra le dita delle fiumare ai piedi delle colline coperte fittamente di querce e ulivi. A sinistra, aggrappate a una montagna argillosa, sotto i Campi di Sant’Antonio e Pitèa, le case di San Luca (Santu Luca); in basso sulla sinistra, il gruppo di abitazioni di Marcelluzzo (Marcidhuzzu) e sulla destra la frazione di Rovere (U Rhuvulu) e le case sparse di Calamaci; di fronte il grosso abitato di Fossatello (Fussatedhu).

(foto 17) La chiesa dell’Annunziata

Allungando lo sguardo si abbraccia l’intero paese, con in fondo il Mulino (U Mulinu) alle pendici  della pietrosa collina di San Giovanni e le case “du Livito” nella plaga della fiumara di Rahali, in faccia al cimitero di Pirarella. Di fronte, le nuove e le vecchie Palazzine, la conca degli orti di Pampogna e sulla sinistra, sul dorso dei costoni che formano le pendici di Lungja, sotto l’incombere massiccio del Torrione, del Taglio del Morto e di Martino, il centro di Fossato in tutta la sua articolata estensione: il Casaluccio, la Torre, il Municipio, la Filanda, Giandone, Gurgori e S. Anna.

 

(foto 18-19-20) La Valle di Fossato

Certo si sa che nella valle, a Sant’Anna, in epoca remota vi fu una stazione di posta lungo la strada pedemontana che congiungeva Reggio con i paesi della media costa jonica. Attorno alla stazione sorsero delle prime abitazioni che divennero centro gravitazionale per gli abitanti della zona che vivevano in capanne sparse per le campagne con toponomini di chiara origine romana e greco-bizantina, testimonianza che Fossato ebbe delle origini nobili e antiche. Purtroppo non abbiamo certezza di elementi storici. Di certo paese, o almeno un piccolo villaggio costituito da poche abitazioni, doveva per forza esistere agli albori del Medio Evo. La presenza di ruderi di alcune chiesette e grange bizantine erette da monaci basiliani ne sono testimonianza consistente. Tra questi, Santa Stasi (foto 21), che si trova un chilometro fuori del paese, immersa in un folto oliveto sulla sponda sinistra della fiumara. Un’edicola intitolata alla Resurrezione di Cristo (in greco Anatasis, Anatasis) a circa 50 metri dal greto, con il caratteristico affresco dipinto sui resti della fiancata di un muro intonacato a calce, ormai sbiadito dal tempo e sbrecciato dagli agenti atmosferici. I ruderi di un’altra chiesetta in località Pantano Longo, su un pianoro che sovrasta l’abitato di S. Luca, non si sa per quanto tempo ancora visibili, registra tracce di sepolture di età antica non ben definita. I resti del robusto muro perimetrale della Chiesa di San Giovanni (foto 22), sopra le case del Mulino, le cui dimensioni possono farla risalire  a epoca bizantina. Probabilmente fu rasa al suolo da terremoto registrato  anteriormente al diciassettesimo secolo.

 

                                                    (foto 21) L'Affresco di Santa Stasi                                     (foto 22) I Ruderi di San Giovanni

I primi documenti ufficiali che menzionano il paese risalgono alle carte del catasto onciario del 1740. Si tratta di un censimento dei beni (dall’unità di misura, l’oncia, uguale a 3 carlini) introdotto nel Regno di Napoli da Carlo di Borbone, basato sulla famiglia considerata come unità contributiva. Questi documenti rappresentano una valida fonte per ricostruire la storia delle popolazioni e dei luoghi dell’Italia Meridionale. Da ricerche storiche sui dati del censimento, condotte da Domenico Sclapari, si rileva che già nel XVII secolo in Fossato si erano stabiliti parecchi nuclei familiari (fuochi) in maggior parte dediti alla pastorizia e all’allevamento del baco da seta. Dalla stessa fonte storica si accerta l’intensa coltivazione della vite e del gelso, e che i grossi proprietari avevano alle dipendenze come fattori parecchi massari, a loro volta proprietari di armenti. In seguito i documenti storici diventano sempre più numerosi e ricchi di notizie. Con gli anni, l’evoluzione della popolazione residente rende necessaria la fondazione della prima parrocchia dedicata alla Madonna del Buon Consiglio (foto 23-24-25), avvenuta nel 1772 con bolla arcivescovile di Sua Eccellenza Monsignor Capobianco in data 29 novembre 1772. Fino a quell’anno la chiesa dittereale (da deuteros, secondo) esistente faceva parte di una delle tre parrocchie di Montebello e precisamente della parrocchia di S. Leonardo, quella che geograficamente era più vicina al paese.

(foto 23-24-25) La Chiesa della Madonna del Buon Consiglio

Lo sviluppo, oltre che delle attività agricole e della pastorizia ebbe probabilmente una certa consistenza quando i marchesi Piromallo, duchi di Montebello, proprietari del latifondo fossatese, e residenti sulla costa, ad Annà, nei pressi di Melito Porto Salvo, costruirono poco più a monte del greto della fiumara la loro casina estiva (foto 26-27-28), “a Turri”, adibita a residenza per sfuggire alle calure della marina e probabilmente per dar modo alla famiglia di curare da vicino gli interessi del casato. Nemmeno di questo edificio si conosce la data esatta di edificazione. Considerato che tra il 1882 ed il 1890 fu effettuato il primo e unico restauro della residenza dal capomastro A. Pellicanò, si presume che l’edificio fu eretto almeno un secolo prima e cioè negli stessi anni di fondazione della parrocchia.  Tuttavia a testimonianza di una data inoppugnabile, sul fianco del muraglione di cinta in pietra rossa, all’altezza del cancello di ingresso, è ben visibile su pietra piatta di colore giallastro l’incisione di una data: 1892. Certamente l’anno di costruzione del muro a protezione del più antico palazzo.

(foto 26-27-28) A Turri Palazzo Piromalli

 Le caratteristiche geologiche del territorio di Fossato hanno due peculiarità fondamentali: la parte bassa della valle di natura argillosa e cretosa con presenza di ciottoli di piccole dimensioni, su cui si è sviluppata con il passare dei lustri una coltivazione intensiva dell’olivo che sostituì completamente quella della vite e del gelso, molto sviluppata sotto l’amministrazione Borbonica; la parte alta, sull’altopiano che si estende fino alle pendici di Montalto, di natura sabbiosa e discreta presenza di conchiglie fossili. Su questi terreni, una volta seminativi a granaglie di vario tipo, rimasti incolti per lunghissimi anni, il Consorzio di Bonifica iniziò negli anni ’50 su vasta scala il rimboschimento dei terreni espropriati. Grazie al lavoro dei forestali, il paese oggi è circondato per gran parte da pinete maestose. Non è raro in questi terreni trovare anfratti e caverne, che in epoca remota potevano fungere da rifugio. Due di queste grotte di notevole ampiezza si trovano, una a Nord Ovest e una a Nord Est. La prima in località “A Rutta” in territorio del Comune di Motta S. Giovanni e l’altra “A Lamia” (foto 29-30-31), lungo il pendio di una valle secondaria che si può raggiungere con la strada che da Fossato porta ai Campi di Embrisi.

(foto 29-30-31) La grotta della Lamia

Appena arrivati al primo altopiano, a qualche chilometro dal centro del paese, sulla sinistra si trova la chiesetta della Madonna di Lungja (foto 32-33-34), costruita negli anni ’90 dagli operai del Consorzio di Bonifica, su iniziativa di Don Angelo Meduri. Un’ampia radura davanti alla piccola costruzione, libera da vegetazione di alto fusto, consente una visione panoramica a lungo raggio. Con le spalle rivolte alla montagna sulla sinistra si possono vedere in lontananza gli abitati di S. Lorenzo e di Bova, di fronte, lo spettacolo delle Rocche di S. Lena, Smiroddu e Pentidattilo e in fondo il mare Jonio. Nelle mattine terse e serene lo sguardo si stende oltre l’orizzonte ad abbracciare l’Etna innevata. A nord della chiesetta, ai lati del rettilineo d’asfalto, una splendida pineta attrezzata  dove la gente trova nel periodo estivo frescura e svago apparecchiando proverbiali, pantagrueliche tavolate.

(foto 32-33-34) Il Santuario di Lungja e l’area di Picnic

Il Centro era diviso in borgate più o meno grandi. Cominciando da Sud si incontra la borgata Casaluccio, oggi ridotta a ruderi disabitati nella parte che si protende verso Fossatello. Negli anni Cinquanta con la costruzione dell'Asilo e delle prime palazzine popolari si espanse verso la località chiamata " I Nasidi " e poi negli anni Settanta venne del tutto urbanizzata. Proseguendo verso Nord si incontra a destra la Torre. Alle sue spalle il Centro vero e proprio con la chiesa, Piazza Municipio, la Filanda (chiamata così perché  nel passato c’era un’attiva filanda per la seta ottenuta dall'allevamento del baco) e Jovani. Salendo ancora verso Nord-Est, si incontra il Portone, da cui, dopo una breve e ripida salita (individuata nella nostra fanciullezza come " a 'Nchianata 'i ll'Abbucatu"), si giungeva  a Giandone, il Mulinanfocu, Via dei Martiri, Gurguri, Sant’Anna, Santu Larinzedhu, a Pindinedha  e si scendeva a fino alla forbice del Passu i Maru Pudhjici. Il Passo divideva Palamara da Pampogna e da lì cominciava il muraglione a difesa degli orti. Negli ultimi venti anni, tante abitazioni sono state ricostruite o ristrutturate, ma tante altre sono state abbandonate dopo l'ultima grande emigrazione degli anni Sessanta verso il Nord Italia (Milano e Torino). Ma anche a causa della morte di tanti vecchi che hanno spopolato molti borghi. E le case hanno l’erba sulle porte.

Dopo tanti anni di decadenza, ultimamente l'immagine di Fossato stava migliorando grazie all'iniziativa dell'Associazione Socio-Culturale "IL LUME", a cui aderivano sotto forma di cooperativa numerosi giovani. Ma dopo pochi anni è scomparsa nel nulla. Le  entusiastiche iniziative dell'Associazione sembravano aver risvegliato dal torpore statico Fossato e i suoi abitanti. Basta ricordare le due edizioni (1998 e 1999) della Sagra dell'olio di oliva e dei prodotti tipici Fossatesi, organizzata con intelligenza e caparbietà da questo gruppo giovanile, con alterne vicende fino al 2006. Da Fussatotu, emigrato per lavoro, lontano per tanti anni e ritornato alle origini, è stato per un attimo motivo d'orgoglio vedere che c'era qualcosa di buono nei nostri ragazzi, ma purtroppo, come ogni cosa buona, di poca durata. Tante sono le novità in giro per il paese e i suoi dintorni.

Come tutti i Fussatoti sparsi per il mondo sanno, l'unica risorsa del paese è la coltivazione delle olive che producono un grande olio dotato di ottime caratteristiche organolettiche. Tra l’altro, medici e dietologi lo consigliano per abbattere il colesterolo: l’olio d’oliva è il condimento di base nella dieta mediterranea. La modernità, importante parola che si sentiva nei discorsi dei nonni prima e dei genitori dopo, è arrivata anche sotto gli ulivi. Non si vedono più teorie di donne che raccoglievano 'a liva cocciu a cocciu 'nde panara, non si vedono più ' i rimazzaturi', non si sentono più quei canti a mottettu che si rincorrevano da Màntina a Calamaci, da San Luca al Serro, da Santa Stasi alla jhumara  du Locu o verso u Laccu e a Jhalamurda, quasi una gara tra di loro nell'intonazione e negli acuti. Ora si viaggia in macchina, in trattore, assolutamente non a piedi, i scecchi e i muli, i murri di crapi e pecuri 'nda jhumara da Carcaredha sono un lontano ricordo; le reti di plastica colorate hanno sostituito i saladdi sotto gli ulivi, i trappiti (nella mia fanciullezza erano tanti, quasi uno ogni rione) sono diventati frantoi ultramoderni.

Negli anni Cinquanta la luce elettrica illuminava stentatamente pochissime case. Su iniziativa del cavaliere Sapone, sfruttando la cascata d’acqua di Branchinu che faceva girare la ruota del mulino, quando non utilizzata per macinare il grano, faceva girare una dinamo, non si sa di quale epoca e di quale provenienza. Produceva una penosa quantità  di energia elettrica che, specie nelle lunghe sere d'inverno, quando le poche fortunate famiglie erano attorno ai bracieri o davanti 'e foculara, spesso se ne andava (black-out antico, parola fantascientifica) e poi tornava con continui sbalzi luminosi, appena 120 "candili" di tensione.

L'acqua nelle abitazioni arrivò negli anni Sessanta e Settanta. Ricordo le fontane pubbliche che c’erano in paese, se la memoria non mi inganna.

Nelle foto sottostanti alcune fontane del paese degli anni '60 ancora ben visibili in giro per le strade.

La Fontana del Casaluccio Barracche

      

La Fontana di Gurgori S. Anna

La Fontana di Via Morisani

La Fontana di Via dei Martiri

La Fontana di Via dei Martiri come è oggi

         La fontana del Casaluccio  salita Michele Morabito

 

   

 

 

una al Casaluccio, in seguito ne fu costruita un'altra nei pressi dell'asilo a servizio delle palazzine;
una davanti al municipio in Piazza; una alla Filanda; una o Purtuni, all'inizio della ‘Nchjanata i ll'Abbucatu; una in Via dei Martiri, largo Mulinanfocu, una al Passu di Maru Pudhici;
 una in Via S. Anna. 

Una detta "a vecchia funtana",  alimentata da una vena proveniente dalla località Jovani, di proprietà privata ma di libero accesso a tutti, leggerissima e digeribilissima;
quella del Mulino davanti al vecchio Trappitu da Guarna;
Il Serro aveva una fontana speciale, alimentata da una sorgiva locale che faceva bene ai reni (ancora esistente).
Gli abitanti di Santu Luca e  du Ruvulu attingevano a Scarpazza, o presso altre sorgive sparse nelle vicinanze dell'abitato;
Calamaci era nelle vicinanze dell'acqua da Castagnara e più a monte la fiumara di Savuccio;
a Fossatello ricordo una su un pianoro davanti alla scuola di Maddeo.
Quasi tutte le fontane avevano la  vasca dove si raccoglieva l'acqua per l’abbeverata degli animali. E anche lo spazio per farli rricciulari.

Quante volte i nostri genitori ci mandavano "cu bumbuleddu a 'ncodhu" a  prendere un po’ d'acqua frisca! Quante volte alla fontana pubblica "tinivimu a vicenda". Ricordo che spesso la pretesa precedenza a riempire landuni e bumbuli finiva a sciarra, e certe signore manicote si pigghjavunu di capidhi  e si rumpivunu i bumbuledhi.

La strada carrozzabile arrivò  al centro di Fossato nel 1966. Prima gli autobus e gli automezzi scendevano  alla hjumara dal ponte di Virgo, per qualche tempo dal ponte du Chiuppu e infine da quello di Fossatello poi  raggiungevano il paese entrando a fianco dell’asilo.

Il Ponte di Fossatello 1981 (Foto Valenti)

Piazza Municipio 1980 (Foto Valenti)

Piazza Municipio oggi

Piazza Municipio nel 1968

     

Ancora pochi anni prima si lasciava l'autobus al ponte di Montebello e si proseguiva sul Dodge rosso a tre assi, residuato bellico americano coperto da un telone verdastro per riparare i viaggiatori e attrezzato con dei tavoloni fissati alle due sponde laterali. Era il mitico"LUPO DEL FIUME" dal soprannome del suo autista, il simpatico e indimenticabile don Micu Minniti detto "U Lupu", con la sigaretta spenta sempre in bocca. Il capolinea a quei tempi era al Casaluccio. Il Lupo del Fiume veniva parcheggiato davanti al frantoio S. Michele. Nella bella stagione, quando la fiumara lo permetteva, arrivava fino al centro del paese l’autobus, il primo, il famoso 621, guidato prima da Don Micuzzo Foti e poi da donn' Antoni Perpiglia di Montebello. Veniva ricoverato all'interno di un garage. Esattamente dove oggi abita la famiglia del dottor Gullì, nel piazzale della Torre. Era un autobus, che vi credete? E doveva necessariamente essere ricoverato al coperto!

 Ricordate il cosiddetto salotto del Casaluccio?  Ancora è bene impresso nella mia memoria il mastodontico pioppo piantato quasi alla confluenza del torrente Jovani e quello di Maranina. Alla sua ombra nei pomeriggi afosi dell'estate trovavano frescura le famiglie del rione. E quanti pizzicotti somministravano gli anziani a noi bambini irrequieti che alzavamo polvere, litigavamo, ci spintonavamo, tiravamo petrulidhi, per non dire mazzacani. Insomma disturbavamo il  riposo dei grandi.

Ricordo anche come e dove le nostre mamme andavano a fare il bucato. Si partiva di buon'ora portando i panni da lavare, una gistra di quelle grandi, un grosso recipiente dove fare bollire l'acqua e l'immancabile cenere pulita dai residui di carbonella. Si andava a Branchinu, a Savuccio o al Dedaro, si sceglieva la pozza più grande, e si 'nsapuniava, si sciacquava e si turciva tante e tante volte mentre l'acqua era messa a bollire nel recipiente (spesso una caddara). Quel recipiente si contava per primo ed era indispensabile nella dote di matrimonio. Come un rito si cominciava a sistemare i rrobbi nella gistra partendo da lenzuola, federe, qualche volta materassi, fino a riempirla fino all’orlo. Bisognava usare l'accortezza di non mischiare a robba i culuri con quella bianca, tutt'al più si mettevano in fondo in modo che, se dovessero scolorirsi con l'acqua bollente non avrebbero tinto l'altra biancheria, si cominciava a versare l'acqua bollente piano piano facendo attenzione che filtrasse lentamente. La cenere dava a tutto il bucato, con il suo potere sbiancante, un candore e un profumo particolare. Finita questa operazione si svuotava la gistra e si iampravunu i robbi o suli  per farli asciugare. Si sceglieva il greto pietroso del torrente e, se c'erano degli arbusti, ginestre meglio ancora, si stendevano sopra evitando di sporcarli di terra. Alla fine di una estenuante giornata, con il bucato pulito, asciutto e profumato si tornava a casa, il più delle volte cantando. Quanti sacrifici e che fatica quando il tempo minacciava pioggia o faceva freddo: anche di inverno bisognava fare il bucato ogni tanto!

L'inverno, già. Ricordo giornate interminabili di pioggia, di vento talvolta di anche neve, tanta neve che copriva l'intero paese, le colline, gli ulivi e le querce. Ed era facile svegliarsi con il paese tutto imbiancato. Spesso a quei tempi gelava di notte, qualche volta anche di giorno, ed era facile vedere dalle tegole dei tetti pendere i cannumeli, lunghe stalattiti di ghiaccio prodotte dalla neve sciolta. L’acqua colava lentamente e ghiacciava in poco tempo formando coni rovesciati  che potevano raggiungere la lunghezza di un metro e passa. E le scivolate della gente nelle salite di 'nsilicata! Era dura la vita, ma ai nostri occhi  bella perché semplice, piena di stupore e tutta ancora da vivere.

Chiedere ai giovani che vivono oggi a Fossato se conoscono i nomi delle principali Borgate e Contrade, o i nomi delle località di campagna che si trovano nelle vicinanze del paese è come fare una domanda da un milione di dollari. Pochi sanno o ricordano solo vagamente per sentito dire i nomi di questi posti. Se si ha voglia di trovare qualcuna basta fare clic e si incontreranno nomi che sono solo un ricordo della fanciullezza e qualcuno di questi nomi suona ancora alle nostre orecchie come una leggenda, ovvero comu nu fattu  di l’antichi.