"FUSSATOTI RITORNATE VIRTUALMENTE ALLE VOSTRE ORIGINI"

 

PAGINA  1 di LETTERE DI PAESANI, CONTERRANEI, AMICI E NAVIGATORI CHE HANNO SCOPERTO IL SITO

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Spettabile Signor Direttore di questo Internet,

complimenti assai per quello che fate per le popolazzioni calabresi spersi e sparse per il mondo sulle strade sudate della migrazione nazzionali.

Quando per capitazione mio nipote Ciccio il figlio di mio figlio Pasquale mi ha fatto vedere la vostra televisione la cosa mi è piaciuta molto perché ci voleva un foglio illustrativo che mette in contatto noi che ci troviamo nel mondo e che stiamo anche in questa laboriosa città, ma è terra straniera. Bravo a voi e tutti quelli che con fatica intellettuale scrivono questi articoli molto belli che riempiono il cuore a chi li legge.

Ma ora mi dovete perdonare però vi devo contare quello che mi è successo a me medesimo in persona che se lo sapessero tutti i santi che lo sanno ci verrebbe lo schifio.

Dovete sapere che ho un sogno nel cuore che non potrà morire mai come non voglio morire io da forestiero come ho vissuto in questa terra straniera e in questa città che bene o male mi ha ricevuto, anche se è stata madre matrigna che mi ha accettato a stento e con aggravio di tassa perché c’è stata molta difficoltazione nel capire quello che uno voleva dall’altra e viceverso. Ora che sono vecchio e morto in piedi voglio tornare a casa finalmente, nelle mia terra tanto amata, capite signor direttore quello che vi vengo a dire, questo mio sogno è proprio il mio sangue a rubarmelo.

Il fatto è lungo e triste e riguarda tutta la mia vita lasciando perdere la figliolanza dalla gioventù in poi.

Dovete sapere che quando mi sono sposato con mia moglie, una brava donna per carità non ho lagnanza, nel nostro paese c’era miseria e insieme a tanti altri per necessità di vita ho deciso di partire nell’emigrazione. Per i documenti del passaporto ci voleva il certificato di buona condotta e siccome che quel miserabbile del Mulino, non faccio nome per misericordia per i morti, che era fascista prima poi è passato con il partito dei preti, era vice sindaco e delegato di firma non me lo voleva firmare, ci vose una caliata e poi me lo firmò. Dunque speravo per poco tempo e difatti gli ho detto a mia moglie:

- Maria parto ma non addimoro e torno.

Sono partito il dieci di settembre del 1948 e alla partenza piangevano pure le pietre della via. Nella piazza della stazione di Reggio Calabria la statua di Garibaldi che fece l’unità dell’Italia ci girava il culo, parlando con lui e fuori da queste belle facce, a me a tutti quella gioventù in partenza con il treno. Basta!

Passai all’estero cinque anni, ma a Natale tornavo a casa e ogni tornata un figlio fino a cinque, tre mascholi e due femminucce. Pasquale uno, Giovanni due, Pietro tre, Consolata quattro e Margherita cinque. Andate voi a quei tempi tristi a dare da mangiare, vestire e calzare quella canalia di figlioli! Lavoravo notte e giorno e sparagnavo ogni lira centesimo per mandarli a casa che mia moglie mi richiedeva ogni lettera che mi spediva con la posta. Ma ad un certo giorno mi ho deciso e ci siamo trasferiti a Torino, via Santa Chiara numero 14, quarto piano. Ma con la famiglia e uno solo che lavorava sotto padrone nelle costruzzioni la vita era tinta che non ce la passavamo tanto buona. Non vi dico i sagrifici e stenti e non vi parlo neanche del disprezzo della genti di qua piamontesi, ma com’è e come non è abbiamo tirato avanti discreto e ho mandato a scuola tutti i figli che se la portavano buona. Ora grazie a Dio, hanno tutti una brava sistemazione con la posizione. Uno è geometra, il più piccolo, un’altro ha aperto l’officina di carrozziere che campa bene con le assicurazione, Pietro poveretto che ha un difetto alla gamba mancopata, fa l’impiegato uscere alla comune, le femmine sono tutte maritate con bravi giovani lavoratori di coscienza, e il Signore e la Madonna beata mi hanno fatto la grazia di dodici nipoti che quando vengono le feste ci vuole tutta la pensione.

Allora mi dite voi, cosa è successo? Ve lo dico subbito con ricordo di dolore, se avete un minuto di pacenza. Quando si è maritata Margherita che non aveva volontà e si è sposata tardi con suo marito il veneto che quando parla bavia e non lo capisco tanto, gli ho detto a mia moglie con belle parole confortevoli:

- Maria, il nostro dovere di genitori l’abbiamo fatto, non dico di andarcene da Torino ma qua che facciamo? La casetta piccolina al paese l’abbiamo aggiustata e ci aspetta a vivere insieme in compagnia nella nostra vecchiaia. Un mese qua e un mese là, il treno ci leva e ci porta con la cartazzura con lo sconto. Io tengo il desiderio infiammato di tornare in Calabria e di trascorrere gli ultimi anni che la benevolenza del Signore si degna di mandare. Questo desiderio tu lo sai a quanto ci tengo più della mia vita stessa. I figli sono sistemati e qua non abbiamo più niente da fare che siamo di disturbo forse per le sue famiglie. Non sono tanto di buona salute che il lavoro mi ha consumato, ma se vieni ci facciamo compagnia nella vecchiaia, una mano lava l’altra e tutti i due lavano la faccia.

Non glielo fossi mai detto ha aperto quel forno di bocca e non l’ha ancora chiusa che brontolia notte e giorno e pure nel sonno. Poveretto di me che pensavo di passare dopo una vita sagrificata la vecchiaia al paese che non me lo ho mai goduto cosa che ardente desidero che non voglio che gli altri che sono rimasti là mi tolgono definitivamente come può succedere come succede a tanti giovanotti che mi contano la stagione quando torno e mi dinno che i paesani gli rubano tutto e li cacciano che manco confidenza gli danno. A me questo non voglio che mi succede il mio sogno manco Domineddio me lo faccio rubare. La gioventù glielo rubbano che se lo lasciano rubbare che hanno gli anni davanti e la speranza. Io ho solo un sogno che vi ho detto.

Mia moglie dato che non era di questo parere, un bel giorno ho deciduto e ho fatto i bagattelli. Vi saluto e buona fortuna a chi resta, io devo stare qua a inghiottire mosche che la mattina quando mi levo del letto non vedo l’ora che scura che vado a dormire? Vi saluto e me ne sono tornato al paese da solo.

Dopo qualche settimana che stavo nella casetta che mi ha lasciato la bonanima del mio padre e che ho aggiustato che pare un palazzo che pure le grondaie di rame ci ho messo, si piombano come un fulmine mia moglie Maria e mio figlio Pasquale che mi salutano e armano sciarra e mi chiamano vecchio cataforo rimbambito che non posso stare là da solo che sono malato che devo tornare con loro che al paese da solo non posso stare e se no mi mandano a prendere i carabinieri come i pazzi del manicomio. Io ho pensato che forse gradivano la mia pensione che se è quella ci faccio la procura e se la pigliano loro alla posta, ma da qua non me ne vado che se vogliono restare alla mia signora specialmente che è padrona, ma a Torino non torno manco con l’ordine del giudice. Guardate che non mi manca niente e c’è la qualunque. Maria fermati che ce la passiamo buona anche se i tuoi parenti e famigliari di parte tua, fratelli e sorelle sono morti e se ne sono andati all’estero e tu tanta volontà di restare ormai non hai più. Fallo per l’amore mio che ti ho maritata e perciò ti ho voluta bene.

Niente. Alla fine mi hanno fatto una carta con il medico che non posso più ritirare neanche la pensione e mi hanno portato con pena e dolore come un pacco postale a Torino. E opera dei signori dei miei figli e della mia moglie signora Mariuzza che mi trovo in queste condizioni disperati che sono interdetto che vale a dire che sono rimbambuto e non capisco niente come i bambini piccoli. Ma mi ho detto a me stesso:

- Ciccillo, almeno se non da vivo, da morto torni a casa.

Perché dovete sapere che quand’ero al paese ho fatto la dimanda in carta di protocollo per il loculo nel colombaro del cimitero vicino ai miei cari defunti buonanima, che me la danno la concessione sempre pagando la tassa che franco manco ti assotterrano.

L’altra mattina però si appresenta il postino e mi consegna una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno della conune del paese che mi comunica che per il loculo niente da fare che hanno pochi e li riserbano solamente se siete residente con il certificato di residenza che basta solo quello, mi mi presento che me lo fanno subbito. O disgrazia amara. Fissa e futtuto, ora me la mandati la lettera che pare che mi posso movere di qua?

Non vi dico nient’altro che ora sono in queste condizioni che sono disperato e il mio cuore si taglia ma non posso neanche parlare. Per questo motivo vi ho fatto questa lettera che se la leggete vi mettete tristezza pure voi che siete istruito e di grancuore. Ora ho finito di scrivere.

Questa è la mia storia e scusate se ve la ho scritta perché non spadroneggio bene l’italiano che sono un terza elementare.

Gradite tanti distinti e cari saluti a voi e famiglia e mi firmo vostro Trunfio Francesco fu Pasquale, classe 1922.

Dal nostro compaesano Sig. Trunfio

Caro illustre signore.

Vi siete interessato non richiesto degli affari miei e mi sento veramente con voi in persona e con quegli altri giovinottini di quella rivista giornale che devono ancora mangiare pane di giogghio molto fastidiato. Con quale promisso e con quale autorizzazione dell'unica autorità autorevoli che sarebbi io in persona si hanno permettuto di mettermi sulla scecca bianca del loro giornale che come persona degna di fede mi ha espricitato è diventata in possessione di parte politica piccolina che manco compare sulla scena elettorale della Calabria di Catanzaro? Non si po' mischiare il scecco con Mastrottavio. Possono assai baiare alla luna che sono indipendenti che forse piccioli non prendono ma che si hano venduto barde e cofinelli a quel signore che fanno gli incontri e le interviste del partito del comesichiama che non mi ricordo che non sono pratico di minutaglia. Ora torniamo a noi che non si deve fare fatica all'asino come con il bue. Mi pare che voi in titolo di paesano che mi canosce aveva riferito anite con un altro della vostra stessa taglia che rivelate le mie generalità e famiglia di appartenenza se i giovinotti avessero favorito un rostuta di saddizzi con un bottiglione di vino. Avevano in primata accettato e poi non li vidistovo più . Perquindi avete fatto bene e vi siete piombato, bravo. Ora si sono rifalditi per due corde di saddizzo e a me danno un premio di carta? Che se lo tenono stretto che se vogliono che io accetto un premio più migliore, mi mi mandano una toppa di lardo o salaprisa che è molto che non la provo, quattro corde di soppressata e due costicelle o un iamboncello da bollire con i fagioli. Il vino ce l'ho io in cantina che parla con gli angioli. Solo per la spedizione gli mando l'indirizzo e pure la ricevuta della merce, con il giornale me me la imbrogliano. Un molto carissimo saluto e mi firmo vostro scaniosciuto signor Trunfio.

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